Il mio primo pensiero, nell'apprendere che il film "Campo corto" sarebbe stato proiettato nell'aula magna del Tribunale di Milano, è andato, lo confesso, all'impatto che esso avrebbe avuto sulla gente comune.
La mia preoccupazione è nata non solo dal fatto che loro non conoscono la realtà carceraria di San Vittore, ma anche, e soprattutto, perché il tamburellare negativo dei mass media, non concede riflessione adeguata sulla reale condizione dei detenuti, e non solo di San Vittore.
I crimini che vengono commessi tutti i giorni, purtroppo, hanno facile presa sulle coscienze di chi è disinformato su questo settore della vita sociale.
Ad ogni fatto di cronaca nera, si tende a trarre considerazioni disastrose per tutta la comunità italiana.
Di qui la denigrazione collettiva dei "cattivi" e l'inasprimento delle coercizioni su tutta la comunità detenuta; senza tener conto che anni di pena sofferta, rendono l'individuo pari ad un animale, senza più dignità e senza quei pochi diritti umani, sanciti dalla stessa Costituzione.
Dai giornali ho appreso l'entusiasmo dei presenti alla proiezione, come pure il giudizio positivo messo in risalto dalla stampa quotidiana del giorno dopo.
Se da un lato, però, è incomiabile l'interessamento di alcuni operatori esterni, come Emilia Patruno, direttore di "Magazine 2", il giornale di San Vittore; il regista Sergio Attardo; lo psicologo Angelo Aparo e del dott. Luigi Pagano, direttore del penitenziario milanese, che ha "procurato" le necessarie autorizzazioni, sia per "girare" il film sia per "esportarlo" nelle varie sale esterne alla casa circondariale, dall'altro un pizzico di amarezza lo hanno creato le figure istituzionali assenti alla rappresentazione.
Ma un prodotto di tale portata, sono sicuro, lascia il segno. L'ironico dramma, che il film racconta, non può e non deve essere sottovalutato, poiché la vita di ognuno, piccolo o grande che sia, nell'ambito del suo quotidiano, forse, è rispecchiata da quelle immagini.
Ludovico Diego