Allora, la Bibbia certamente si interroga sul mistero della violenza, sulle caratteristiche che rendono questa violenza originaria, in qualche modo, o costitutiva, se non dell'uomo in se stesso, certamente costitutiva della storia degli uomini.
E quando la Bibbia si interroga su queste cose lo fa impiegando di solito, almeno nel caso dei primi undici capitoli della Genesi, il registro mitico, provando a rispondere a quelle domande di senso, cioè, di cui il Professor Stella richiamava l'importanza nel primo intervento di stamattina. Rispondere alla domanda di senso, dunque, che l'uomo si pone da sempre, è la domanda di sempre e da sempre, ed è l'interrogativo angoscioso, che abbiamo tutti, credo, quando siamo di fronte a degli atti che hanno una valenza che li supera o ci supera. E la Bibbia prova a dire qualcosa
di quel fatto
di quello che avviene, sempre.
Provo a leggerlo, perché non è così chiaro a tutti quanti il brano, è un brano breve e quindi si può ascoltare.
Adamo si unì ad Eva, sua moglie, ella concepì, diede alla luce Caino, e disse "ho procreato un uomo con il Signore". Diede ancora alla luce il suo fratello, Abele. Abele era pastore di pecore, Caino era contadino. Dopo un certo tempo, Caino presentò dai frutti del campo un'offerta al Signore. Anche Abele presentò offerte dei primogeniti del gregge. Il Signore guardò ad Abele, e alla sua offerta. E guardò meno Caino, ed alla sua offerta. Caino si adirò tremendamente, e camminava a testa bassa. Il Signore disse a Caino: perché sei adirato e perché cammini a testa bassa? Se ti comporti bene non alzerai il capo, ma se non ti comporti bene alla porta è in agguato il peccato e benché abbia brama di te, tu puoi dominarlo. Caino disse a suo fratello Abele, e quando furono in campagna Caino fu sopra suo fratello Abele, e lo uccise. Il Signore disse a Caino: dov'è Abele, tuo fratello? Rispose: non lo so, sono forse io il custode di mio fratello? Replicò: Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. Per questo ti maledice la terra, che ha aperto le fauci per ricevere dalla tua mano il sangue di tuo fratello. Quando coltiverai il campo non ti consegnerà la sua fertilità, sarai ramingo e fuggiasco sulla terra. Caino rispose al Signore: la mia colpa è troppo grave perché la possa sopportare, se oggi mi scacci dalla superficie della terra, e devo nascondermi dalla tua presenza, andrò ramingo e fuggiasco per il mondo e chiunque mi incontrerà mi ucciderà. Gli rispose il Signore: Non è così. Chi uccide Caino lo pagherà moltiplicato per sette. E il Signore fece un segno su Caino, perché chi lo incontrava non lo uccidesse. Caino si allontanò dalla presenza del Signore e abitò in vaga terra, a est di Eden. |
Questo delitto arriva come esito drammatico di una storia. Il fatto, forse a livello di cronaca - qui il dottor Grande potrebbe dire qualcosa più di me - a livello di cronaca potrebbe essere liquidato anche in poche parole, magari ricorrendo proprio alla categoria del raptus che si pensa possa spiegare talvolta (ma oggi abbiamo visto che non è così) o forse meglio più che spiegare - dire - in qualche modo, il dramma di un uomo che uccide all'improvviso il suo fratello.
Il testo biblico preferisce invece raccontarci alcuni elementi di un tormentato itinerario: sono elementi che forse nei modi a loro propri (sottolineo: nei modi a loro propri) ci permettono di abbozzare il contributo per qualche risposta a queste domande che guidano la nostra riflessione. Innanzitutto: il raptus omicida ha una storia. Nella lettera del detenuto letta prima, c'è una definizione molto forte, e si dice: "limatura della coscienza, giorno per giorno".
E' la storia tormentata, segnata profondamente dalla fatica di accettare uno che è diverso da me, così come nella Genesi, ai capitoli 2 e 3, ci si chiedeva se l'uomo può accettare l'alterità di Dio, un'alterità che lo fonda e lo identifica, così in questo capitolo 4, della Genesi, ci si chiede se e come l'uomo potrà accettare l'alterità del fratello.
E in Genesi 11, il famoso brano di Babele, ci racconta la storia - e anche questa è la storia di sempre - di una società che cerca di bandire ogni differenza. Caino è il primogenito, abbiamo sentito: nasce accompagnato dal grido di vittoria di Eva, il suo nome lo identifica con significati, con un'etimologia molto ampia, "fabbro", oppure "geloso", oppure "acquistato". Eva dice "ho acquistato un figlio dal Signore". Abele ha un nome interessante, Hevel, significa "alito", "soffio" ma significa anche "vuoto", cioè qualcosa di inconsistente o di estremamente debole, ma ancora più del nome proprio, è decisivo l'appellativo, con cui viene al mondo: Abele è "fratello di Caino". Abele dunque nasce come fratello, e nascendo fa, di Caino, un fratello. Il termine "fratello" nel testo che ho appena letto, ritorna sette volte; proprio al centro, alla quarta volta, e nel versetto 9, dove c'è la domanda di Dio "dov'è Abele, tuo fratello?" quindi questa ricorrenza e il numero sette permette di riconoscere anche come veramente tema centrale, la fraternità, in questo brano
Se un uomo e una donna diventano un essere solo (ma anche qui gioca radicalmente il discorso della diversità), i fratelli invece rompono l'unità e provocano la diversità. Sono legati da una relazione che dev'essere unita in ciò che è diverso; e sono effettivamente diversi. Nella cultura: Abele è pastore, Caino è contadino; non sono dettagli di cronaca, siamo - ripeto - nel linguaggio mitico, e ogni parola pesa moltissimo. Sono diversi anche nell'esperienza di vita, e conseguentemente anche nel culto; nell'esperienza religiosa il loro culto si svolge separatamente, e c'è una sorta di enfasi nel sottolineare la loro personale solitudine, davanti a Dio. Si dice che Dio guardò il sacrificio di Abele, guardò meno, o non guardò, quello di Caino. Sono state scritte e continuano ad esserlo moltissime cose su questo punto: io ne riporto due o tre.
Caino, si dice, è "meno gradito" perché non offre le primizie, ma offre "a fine stagione", invece si offre la primizia. E qui è l'antica esegesi forse rabbinica, più che cristiana: noi abbiamo tutto da imparare, da chi legge la Bibbia da molti più anni di noi. C'è una preferenza per il minore, per il meno di niente, che è questo nome, Hevel, e si sottolinea anche sulla libertà, e non su diritti acquisiti per censo, per nascita, per cultura. Di fatto Caino vive la diversità, come un'ingiusta differenza e con spirito di comparazione, competizione. E' una situazione nuova, dapprima solo molesta, poi diventata insopportabile.
E' un crescendo, e Caino sperimenta sentimenti nuovi, che non comprende e che non riesce a valutare in tutta la loro pericolosità. Si dice nel testo che "cammina a testa bassa". Letteralmente sarebbe: "perché cammini a testa caduta?", e alla parola "adirato", in un linguaggio più simile o più vicino alla nostra sensibilità, potremmo intendere "perché ti lasci prendere dalla depressione?".
Dio lo invita a rientrare in se stesso, a riconoscere lucidamente quello che vive, dando un nome ai propri sentimenti. Il suo interpellare non è una domanda processuale, ma tende a rimettere in contatto Caino con il suo intimo; Caino in questo senso è davvero primogenito, nella preoccupazione di Dio. E Dio gli parla di un peccato che è anche visto come una personificazione, come una belva che sta accovacciata alla porta - e qui, anche qui, è un'immagine mitica -, tuttavia sottolinea il carattere bestiale del peccato, vale a dire "non umano", non è un "agire da uomo". La minaccia sta alla porta, nella Scrittura è la porta della tenda, è la porta della casa, ma è anche la porta della coscienza, e la porta controlla movimenti, azioni, controlla l'entrare e l'uscire, il percepire, l'assimilare, il reagire, il sentire. Ed è quindi la porta il punto critico della persona umana, quello che lo fa uomo, capace di coscienza, come sentivamo stamane.
Il peccato visto come creatura che brama - ed è lo stesso linguaggio che spesso la scrittura usa per la passione amorosa, l'attrazione tra l'uomo e la donna - esprime una poderosa tendenza vitale, una brama di possesso, quasi una brama di identificazione. Tuttavia l'uomo è visto come uno che ha la vocazione di essere signore e dominatore dei sentimenti, e non è un "cattivo per natura".
Tintoretto, Caino e Abele |
Caino tuttavia è travolto, e non riesce ad alzare lo sguardo: potrebbe cercare un confronto con il fratello, cercare di chiarirsi, ma non lo fa. Secondo uno studioso ebreo, André Neher, questo delitto è l'esplicitazione tragica di un dramma che si è già consumato e che caratterizza tutti i primi undici capitoli del libro della Genesi, e questo dramma è il fallimento della parola, il fallimento del dialogo, sia quello verticale - tra uomo e Dio - sia quello orizzontale, tra gli uomini. Leggo una brevissima citazione di Neher: "Non solo il dialogo orizzontale non si stabilisce realmente fra i due fratelli, ma i tentativi fatti per instaurarlo danno luogo ad una specie di parodia del dialogo e si concludono con l'omicidio. Caino prende l'iniziativa del dialogo, parla al fratello, ma questo dialogo non ha contenuto, è un dialogo senza sostanza. "Caino disse al fratello Abele" ci aspettiamo qui due punti e le virgolette, che annunciano e inquadrano il contenuto del dire, di Caino al fratello Abele, ma rimaniamo frustrati.
Caino disse al fratello Abele. Punto, a capo. "E avvenne, che mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise". Tutto si svolge come se l'obliterazione del dialogo fosse origine dell'omicidio, proprio perché i fratelli, come i loro genitori, sono incapaci di inventare il dialogo, qualcosa d'altro viene da essi inventato, qualcosa che costituisce e sostituisce la parola e cioè la morte.
Il delitto avviene in campagna, in solitudine, senza testimoni. Il terreno, si dice nel testo ebraico, è brullo, cioè non coltivato, non fecondo. Dio interviene domandando, come già aveva fatto con Adamo. E così interroga anche Caino. Ad Adamo domanda "dove sei?", a Caino chiede "che cosa hai fatto, e dov'è tuo fratello?". L'obiettivo è far prendere coscienza, ma ciò che è più grave non è la menzogna, di Caino, quanto la rinuncia formale ad essere custodia di suo fratello.
Il sangue grida, nessuna colpa resta circoscritta, e tutti i rapporti sono rimessi in causa. Appare ben presto che quello che al primo sguardo sembrerebbe l'allestimento di un tribunale, ha invece al suo centro la preoccupazione per la salvezza di Caino, e per la salvezza della convivenza. Caino schiacciato ora dalla colpa, andrà vagando, abiterà il paese di Nod, cioè il paese del vagabondaggio, o della nostalgia, se volete, portando sulla sua fronte il segno che Dio non lo abbandona e che porta con lui il peso del suo delitto. Costruirà la sua prima città: Caino è il costruttore di città, una città che poi leggeremo nella Bibbia, nell'Apocalisse, si fonda sul sangue di Abele, e degli altri innumerevoli Giusti, uccisi come lui, e si fonda su questo sangue, nascondendolo. Abele è il primo dei Giusti.
Il testo mitico, come detto, narra ciò che avviene, sempre. Arriverà un Giusto, nell'opprimente spirale della violenza, che spezzerà la catena di sangue, fermandola su di sé, interrompendo in un punto della storia, questa catena. E il suo sangue, scrive l'autore della Lettera agli Ebrei, "grida più forte di quello di Abele".