Il suicidio in carcere

 

Le prospettive di studio del suicidio carcerario

Silvia Ubaldi

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Dalla rassegna delle teorie del suicidio in carcere emerge che gli studi medici e gli studi sociologici offrono due opposte prospettive per valutare questo complesso fenomeno multidimensionale. Attualmente però i due approcci non sono più così antitetici.

Il punto di vista delle ricerche mediche sul suicidio in carcere sta mutando. Pur mantenendo ferma la concentrazione sull'effetto patologico del problema, tuttavia emerge, sempre con maggior insistenza, la correlazione tra patologia e fattori ambientali. Le teorie mediche partono dunque da uno studio della patologia come fattore responsabile del suicidio per arrivare alla conclusione che il carcere stesso è patogeno: il percorso procede dall'esame dell'individuo per risalire a quello dell'ambiente.

Nelle teorie sociologiche si parte dallo studio dell'ambiente dell'istituzione totale, per arrivare alla conclusione che, per quanto difficili possano essere le condizioni ambientali non tutti i detenuti reagiscono allo stesso modo, dunque anche la personale predisposizione a compiere gesti autosoppressivi deve avere una notevole importanza.

Negli studi più recenti, come quelli "comunicativi", si cerca di studiare il fenomeno "dell'interazione" tra fattori endogeni e fattori esogeni (senza privilegiare in maniera esclusiva l'uno o l'altro) attraverso l'osservazione del singolo comportamento suicidario. Se il suicidio costituisce un fenomeno sociale, non si può dimenticare che il gesto di autosoppressione del singolo è soprattutto un comportamento individuale. Quindi se l'osservazione sociologica di tipo macrostrutturale, come quella realizzata negli studi durkheimiani, è essenziale per comprendere il retroterra istituzionale del problema, tuttavia, almeno a mio avviso, non è sufficiente per arrivare al fondo della comprensione del suicidio in carcere, che prima di essere un fenomeno sociale è un comportamento umano. È nello studio del singolo comportamento umano che si avverte la rilevanza dei fattori endogeni e di quelli esogeni. Così quando mi propongo di avvicinarmi alla comprensione del singolo episodio di suicidio mi accingo ad uno studio microsociologico di tipo comunicativo.

In conclusione lo studio del suicidio in carcere deve partire dalla comprensione del significato del caso specifico. In questa prospettiva assume primaria importanza il modo in cui l'individuo percepisce l'ambiente e reagisce all'ambiente. Sembra che solo in questa fase sia dato cogliere la più completa interazione dei fattori che contribuiscono alla realizzazione della condotta suicidaria perché è solo nel caso specifico che si apprezza in quale misura pesi la vulnerabilità individuale oppure l'asperità delle condizioni ambientali nella realizzazione del gesto.

Diventa importante, in questa prospettiva, cimentarsi in un'opera di interpretazione del gesto se si vuole comprendere il senso di questa "interazione". Tenendo presente prima di tutto il caso particolare, e assumendo la singola vicenda umana come punto di partenza mi è parso importante imparare a servirsi di tutte le teorie a disposizione senza distinguere tra teorie sociologiche, psichiatriche o psicologiche, purché si possano rivelare di ausilio allo studio del significato del singolo caso di suicidio. Se si vuole capire il significato del suicidio è importante principalmente imparare ad osservare i segni di un comportamento umano per leggerne il significato.

Due sono le operazioni preliminari ad un tentativo di interpretazione del significato comportamentale del suicidio: la prima operazione consiste nell'imparare a leggere il comportamento umano dall'inizio alla fine della sua condotta considerando il suicidio come mezzo di comunicazione; la seconda operazione consiste nel tentativo di applicare le teorie astratte sul suicidio ai casi concreti, per poterle utilizzare come decodificatori degli stessi.