Sulla riunione del gruppo congiunto 19-09-2002

 

Livia Nascimben


Ieri facevo fatica a seguire il filo del discorso, c'era una scaletta, ma non capivo la direzione. E forse l'impressione non è stata solo mia, Ivano con molta naturalezza ha chiesto "ma allora che facciamo con 'sto film?".

Oggi pensando ai "pezzi" di discussione che mi sono rimasti più impressi, mi sono resa conto che ciò che mi è rimasto maggiormente sono le contraddizioni che, oltre a essere presenti nei rapporti sociali, spesso ritroviamo anche nei nostri discorsi.

A pranzo ho visto un servizio al telegiornale in cui si parlava del terremoto in Umbria che aveva danneggiato, tra l'altro, alcuni affreschi di Giotto; oggi l'opera di restauro è quasi ultimata. I restauratori sono partiti da centomila pezzi per ricostruire gli affreschi e permettere ai visitatori di tornare ad ammirarli.

Forse anche noi cerchiamo rimettere insieme parti separate di un oggetto rotto.

Appena seduti nel corridoio, dove solitamente facciamo i convegni, ho provato una sensazione "strana": eravamo in uno spazio più grande rispetto alla sala della redazione de ildue (luogo dei precedenti incontri); qui dove siamo stati questa volta ho sentito lo spazio troppo aperto e poco riparato; avevo bisogno di muri più vicini e mi sono sentita a disagio fino a quando non ci siamo spostati in fondo al corridoio dove tre mura e un cancello delimitavano uno spazio appartato: un po' paradossale, visto che eravamo in un luogo contraddistinto dalla presenza opprimente e soffocante di muri e sbarre.

Mi è molto dispiaciuto sentire direttamente dal Direttore (che si è mostrato molto attento e disponibile) che forse i detenuti non potranno partecipare al convegno di ottobre sulla sfida a causa dei tempi per la concessione del permesso. In quel momento mi sono chiesta cosa provassero Salvatore, Ivano, Dino, Vito, Diego e gli altri. Mi sono chiesta quale atteggiamento propulsivo possa mantenere una persona che veda ripetutamente frustrati i propri slanci verso l'espressione di sé e la realizzazione di un lavoro comune.

L'originalità, la forza, la creatività del nostro lavoro è data dalla collaborazione stretta fra i due gruppi, di cui uno in carcere e l'altro fuori; se al convegno non sono presenti anche i detenuti, di certo il valore della nostra esperienza potrà essere comunicato in maniera meno vivace.

Ma è necessario fare i conti con la realtà oltre che con i propri desideri..

Mi ha colpito particolarmente un intervento del dott. Pagano e le emozioni e i pensieri contrastanti che esprimeva:

E' disorientante sentire che la collaborazione fra studenti e detenuti potrebbe diventare un pretesto per dire che è giusto che le mura del carcere vengano mantenute. Disorientante, ma anche un ottimo punto su cui riflettere!

Mi è piaciuto il contributo di Tiziana a cui si è intrecciato, nel corso della discussione, quello di Rocco; in entrambi è possibile rintracciare diverse componenti presenti nella sfida e osservare come il loro rapporto dialettico possa cambiare nel tempo, lasciando più spazio talvolta a componenti costruttive ed emancipative e altre a componenti regressive e distruttive.

Tiziana ha portato la testimonianza di ragazzi ex tossicodipendenti che prima hanno giocato la loro sfida drogandosi e poi, arrivati al punto di essersi imprigionati con le proprie mani, cercando di smettere; Rocco ha parlato della sua esperienza: prima la sfida era trasgredire, ora la sfida è uscire dal giro di attività che porta in carcere, quindi "una sfida per vedere se si riesce a far casino e una sfida per vedere se si è capaci di uscire dal casino e non rientrarci più".

E dunque..

Ecco alcune delle contraddizioni evidenziate ieri e con cui si ritrova quotidianamente a fare i conti l'uomo, detenuto o libero che sia. Ecco alcuni elementi su cui riflettere.