Diego Ludovico | 04-07-2003 |
La comunicazione, ne sono convinto, è uno strumento di cui si nutrono e si servono le persone intelligenti per superare i conflitti che nel quotidiano, come il diavolo, tentano e inducono alle più diverse trasgressioni.
Ammiro coloro che in una disputa usano la parola, che cercano di comprendere e di essere compresi, di rappresentare il loro operato e i loro sentimenti.
Un rapporto può essere sepolto dalle macerie di uno scontro, se non c’è un’ulteriore comunicazione, o continuare ad esistere se, al di là dei propri convincimenti, si mantiene la volontà di capire fino in fondo il pensiero altrui.
E’ quel che ho imparato frequentando il Gruppo della trasgressione. Cinque anni di appartenenza a questo gruppo, per cominciare a capire i problemi del mondo trasgressivo e alcuni modi per affrontarli.
In questi anni, parlando di micro e macro scelte, parlando di sfida, di raptus, di limiti, di tiranni, di muri, di libertà, di maschere, d’imperfezioni eccetera, la mia mente ha aperto delle finestre su un mondo che vivo, ma che mi era in larga misura sconosciuto.
Temi difficili da sviluppare, a maggior ragione nella nostra situazione, dove i tanti problemi di cui soffriamo in carcere farebbero sembrare l’impegno su questi argomenti una inutile perdita di tempo.
Per quanto mi riguarda, questo allenamento mi ha portato a riflettere, a come relazionarmi con maggiore semplicità, soprattutto con coloro che la pensano in modo diverso dal mio.
E’ quanto è accaduto in due incontri, avvenuti a San Vittore, con la dott.ssa Sodano, una figura simbolo della società e della Legge, un funzionario che ha il compito di valutare il percorso già fatto dal detenuto e di decidere sui modi possibili in cui tale percorso potrà procedere.
Un primo incontro si è svolto in redazione, su esplicito invito del direttore del giornale on line di San Vittore, Emilia Patruno. In quella occasione la redazione de ildue.it, di cui faccio parte, voleva sottoporre alla dott.ssa Sodano una serie di domande per avere dalla sua viva voce riferimenti su cosa la Magistratura di sorveglianza si aspetta da noi detenuti e dagli operatori penitenziari che si occupano di noi.
In quella occasione, anche se l’intervista che avevamo preparato per il magistrato di sorveglianza aveva raggiunto il suo obiettivo, l’impressione comune era stata di essere finiti su un terreno minato, quello delle rispettive e reciproche responsabilità fra detenuti, operatori e funzionari. Ne era venuto fuori una specie di terremoto che aveva generato una crisi interna.
Il lavoro di redazione, cammina fianco a fianco col lavoro che fa il Gruppo della trasgressione, con la differenza che
Ebbene, è accaduto che nell’incontro in redazione, ad un certo punto è stato coinvolto il lavoro del Gruppo della trasgressione (i due gruppi sono composti almeno per metà dagli stessi detenuti); tutti i detenuti che partecipano a entrambi i gruppi si aspettavano che da parte del responsabile del Gruppo Trsg (invitato per l’occasione dalla redazione de ildue.it), venissero valorizzati i contributi e l’impegno che detenuti e studenti investono sul lavoro; in quella circostanza, invece, il dott. Aparo era rimasto stranamente in silenzio, suscitando in noi tutti la sensazione di disinteresse nei nostri confronti o di non sufficiente partecipazione ai nostri problemi.
Da qui un acceso dibattito nella successiva riunione del Gruppo Trsg e l’invito al Magistrato di ritornare a San Vittore, questa volta su specifica richiesta del conduttore del Gruppo per documentare la natura e le finalità del nostro impegno.
E qui entra in ballo la comunicazione di cui dicevo.
Il Magistrato ha accettato di buon grado e noi, certi del nostro operato, abbiamo risposto a ogni curiosità e desiderio di approfondimento espressi dalla dott.ssa Sodano. Detenuti e studenti facenti parte del Gruppo, a turno, hanno detto la loro in un confronto a viso aperto, parlando schiettamente dei contenuti, degli obiettivi e del nostro metodo di lavoro.
Credo che quando il Magistrato alla fine ha elogiato il nostro lavoro e il nostro comportamento non lo abbia fatto solo per una questione di cortesia. Personalmente confido in quello che faccio e spero che questo lavoro di recupero di aspetti nascosti ma attivi della mente umana possa essere d’esempio ad altre carceri, e soprattutto che le istituzioni possano adoperarsi per far crescere i detenuti insieme con la stessa società che li vuole recuperare.