Oltre la cultura della pena


Le opinioni sul carcere, sul come debba essere affrontata la criminalità, sui problemi della giustizia e della legislazione penale e penitenziaria sono molte e spesso contrapposte. C'è chi vorrebbe eliminare l'ergastolo e chi vorrebbe reintrodurre la pena di morte. C'è chi dice che il carcere è assolutamente necessario per difendere la società da coloro che hanno mostrato di non tenere conto delle leggi e dei diritti dei concittadini. C'è chi sostiene che almeno per una parte dei crimini non si dovrebbe ricorrere al carcere, ma a pene diverse: ad esempio, chi danneggia interessi o beni pubblici dovrebbe essere condannato a fare dei lavori socialmente utili. Il carcere viene visto da molti come un male necessario, come il luogo in cui si sconta una pena più o meno proporzionata ai danni arrecati con il crimine, nei modi e nelle misure previste dalle leggi. Si sostiene anche che il carcere oltre ad impedire il reiterarsi dei reati, può svolgere una funzione deterrente svolgendo così una funzione di prevenzione dei crimini.

In molte società del passato e di oggi, l'inadeguatezza o la non applicazione delle leggi, portava e porte ad arbitri ed abusi in cui spesso l'unica norma vigente nelle carceri è la volontà di chi ha il potere. La costituzione Italiana, all'art. 27, assegna all'istituzione carceraria anche la funzione di rieducare il detenuto e di fare quanto serve per reinserirlo nella società rispettoso delle leggi e dei diritti altrui. Però a detta di molti osservatori il carcere, più che un luogo di recupero, è spesso una scuola di criminalità. E qualcuno si chiede: reinserirlo come e dove nella società, se a volte le situazioni a cui il detenuto potrebbe/dovrebbe ritornare sono state proprio tra le cause del crimine?

Nell'attuale legislazione italiana è stata adottata la cosiddetta "pratica del doppio "binario" nel senso che gli elementi di proporzionalità, determinatezza ed inderogabilità della pena, (intesa nel senso tradizionale, cioè come retribuzione per la violazione della legge),è stata affiancata da una serie di misure di sicurezza ad accentuata finalità curativa (misure di sicurezza a contenuto psichiatrico) e di prevenzione generale e speciale. In effetti il principio della inderogabilità della pena è stato potenzialmente annullato da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 204 del 1974). Questa sentenza afferma che esiste "il diritto per il condannato a che verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo;tale diritto deve trovare nella legge una valida e ragionevole garanzia giurisdizionale".

Alcune leggi e normative italiane, prevedono vari strumenti parzialmente finalizzati all'obiettivo della rieducazione. Un primo strumento è la possibilità di lavorare in carcere, ma finora non molto è stato realizzato in questa direzione: si può valutare che solo una frazione modesta dei detenuti abbia un'attività lavorativa, che è spesso a tempo molto parziale (si confronti Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella (a cura di): Inchiesta sulle carceri italiane, Ed. Carocci, Roma 2002.
Esistono inoltre vari tipi di "pene alternative" (la detenzione domiciliare, i permessi, l'art. 21, la semilibertà, l'affido ai servizi sociali, alternative, che consentono di accedere al lavoro esterno. A questi benefici sono ammessi solo carcerati che soddisfino particolari condizioni: tipo di reato, prossimità del fine oena, buona condotta, ecc... Queste condizioni devono essere accertate da operatori competenti, facenti capo al Servizio Sociale, alle Direzioni delle carceri e alla Magistratura di sorveglianza. Ma in parecchie situazioni carcerarie l'effettiva possibilità di usare questi strumenti di "pena alternativa" è fortemente limitata (si confronti l'opera sopra citata) dalla scarsità di personale (educatori, assistenti sociali, medici, psicologi, personale addetto ai vari uffici ecc.).

I comportamenti cosiddetti criminali, pongono alla società problemi estremamente complessi, e si direbbe quasi più difficili quando una società voglia pilotare la propria evoluzione, basandosi su criteri di giustizia, di equità e di solidarietà.

 

2 - Oltre la cultura della pena

Le modalità con cui le nazioni cosiddette civili affrontano il problema del crimine, sono il larga misura centrate sul concetto di pena: la normativa relativa ai comportamenti criminali, non a caso,è chiamata diritto penale in varie legislazioni. La presenza nelle leggi, ad esempio in quelle italiane, di altri principi, quali la rieducazione ed il reinserimento, si presenta in qualche misura come un elemento di contraddizione. Infatti, come può la pena, che in un certo senso è la gestione collettiva della vendetta, essere funzionale a un percorso tendente a trasformare in validi cittadini coloro che hanno compiuto dei crimini? Per rispondere a questa domanda sembra necessario distinguere due aspetti profondamente diversi che si intrecciano nel processo di valutazione del crimine e che si prolungano poi nella esecuzione penale. Da un lato l'individuazione del reato e del fatto che l'imputato lo abbia effettivamente commesso. D'altro lato la valutazione delle responsabilità morali dell'imputato (nella loro formulazione giuridica), che inevitabilmente richiede di cercare, almeno in qualche misura, le cause del comportamento antisociale che si intende perseguire.

Si considerino, seppur schematicamente, le modalità del "percorso penale", come previsto ad esempio dalle leggi italiane. Dopo le indagini e l'iscrizione nel registro degli indagati, il primo passaggio è l'individuazione del tipo di reato. Il secondo è il giudizio sul fatto che il reato sia stato o meno commesso dall'imputato. Il terzo è il tentativo di valutare le motivazioni soggettive/oggettive, che possono aver portato l'imputato a commettere il crimine, considerando conseguentemente la pertinenza delle possibili attenuanti ed aggravanti; il quarto momento è l'individuazione della pena prevista dalla legge per il reato e le responsabilità che sono state individuate. Infine, l'ultimo passaggio è l'esecuzione penale.

Nel terzo passaggio del percorso penale, quale sopra delineato, si manifesta la necessità di capire le motivazioni oggettive e soggettive dell'imputato, che in quel momento è già stato giudicato responsabile di aver commesso il reato. Questa necessità, che si è storicamente sviluppata in modo lento e complesso, deve essere giudicata come un aspetto positivo della evoluzione del diritto, in quanto si è fatta carico di commisurare la pena da infliggere alla "gravità" del reato, valutato non in modo astratto, ma nelle condizioni soggettive ed oggettive in cui è stato effettivamente commesso (ovviamente nella misura in cui queste condizioni possono essere accertate in un processo).

Nell'attuale processo penale si manifesta così un intreccio delicato e conflittuale tra due obiettivi irrinunciabili, cioè la necessità della società di difendersi dal crimine, e l'interesse della società stessa di trasformare il criminale in onesto cittadino. Questo modo conflittuale dell'attuale legislazione, legato al dovere di infliggere una pena tendenzialmente equa, richiede di capire le cause e le condizioni del crimine.

Riteniamo che il modo centrale del potenziale conflitto, sia individuabile proprio nella necessità di cercare le cause materiali, sociali e mentali del comportamento antisociale della persona sotto giudizio. Infatti malgrado le molteplici riflessioni che la storia ci ha tramandato, la nostra comprensione delle motivazioni dei comportamenti umani è molto imperfetta. Anche la comprensione dei comportamenti antisociali, pur avendo conseguito qualche successo localizzato, è ancora molto limitata, anche s e varie analisi e strumenti potenzialmente utili stanno emergendo (si veda ad esempio: Frank P. Williams e Marilyn D. McShane, Devianza e criminalità, Ed. il Mulino, Bologna 2002).
La possibilità di questa comprensione è quasi sempre legata alla possibilità di interagire serenamente con il soggetto in condizioni e con modalità favorevoli, che richiedono tempi relativamente dilatati, non facilmente conciliabili con i tempi processuali. Infatti il processo, se vuole giocare efficacemente il suo ruolo in difesa della società, richiede tempi rapidi (è ben noto che la lentezza della giustizia in Italia sia da considerare uno dei suoi mali maggiori).

Sembra così interessante chiedersi se il "conflitto" possa essere sciolto estromettendo la "pena" dai meccanismi giuridico/istituzionali con cui la società affronta il crimine, occorre modificare le attuali leggi sostituendo il codice penale, con un nuovo codice dei comportamenti antisociali. L'attuale codice può fornirel'individuazione dei vari tipi di crimine e le procedure per l'acquisizione e la valutazione delle prove di reato. Gli obiettivi del nuovo codice possono essere sommariamente individuati nei tre seguenti.

Parma luglio 2002