Nietzsche denuncia le "menzogne millenarie" formatesi in secoli di storia dell'umanità:
-da Aristotele riprende il concetto di CATEGORIA, già rivisto da Kant: ad entrambi contesta l'aver
posto alla base di ogni categoria l'ESSERE, infatti le categorie aristoteliche sono modi di
giudizio, quelle kantiane sono modi di predicazione, ma in entrambi i casi viene attribuita una realtà a ciò di cui si sta parlando.
Per Nietzsche non ci sono REALTA' ASSOLUTE con cui confrontare ogni singola esperienza del
mondo: ognuno ha la sua verità che gli viene dall'appartenenza ad un gruppo particolare e in un particolare periodo storico.
-a Platone contesta il credere nell'esistenza dell'IPERURANIO, il mondo "altro" in cui
esisterebbero le idee innate grazie alle quali noi siamo in grado di comprendere tutte le "cose del
mondo". Le idee innate sono l'ESSENZA di tutto, sono IL VERO ESSERE che c'è stato, c'è e ci
sarà sempre, uguale in ogni sua minima parte, senza possibilità di cambiamento alcuno. Noi, nel
nostro mondo, abbiamo esperienza di queste idee innate, e grazie a ciò riusciamo a categorizzare
ogni realtà: abbiamo in mente l'idea, il prototipo di una particolare categoria e non facciamo altro
che confrontare gli "essere" del mondo con "L'ESSERE VERO". Così se vedo un cavallo bianco
con tre zampe lo classificherò comunque nella categoria "cavallo" anche se tutti i cavalli che ho
visto fino a quel momento erano marroni e con quattro zampe: questo perché ho IN MENTE
L'IDEA INNATA DI CAVALLO .
-al Cristianesimo contesta sostanzialmente tutto: ha la colpa di aver diffuso la "morale degli schiavi" costringendo gli uomini all'abnegazione, alla rinuncia di sé, delle proprie velleità. Per i cristiani
l'essere vero esiste, ma è solo ciò che Dio vede nella Sua pura mente e che noi riusciremo a vedere
poi,da morti,quando ci ricongiungeremo con Lui. Per il momento ciò che vediamo altro non è che un riflesso offuscato delle "vera verità".
"DIO E' MORTO": così esordisce Nietzsche nei suoi scritti. Il Dio a cui si riferisce Nietzsche non
è solo quello Cristiano,ma è la personificazione di tutte le certezze metafisiche create nei secoli per
dare un senso alla vita; se Dio è morto, allora sono morte tutte le certezze. Nietzsche vuole essere
una "lanterna di giorno", vuole cioè portare luce dove gli altri credono ci sia già luce: vuole
annunciare la morte di Dio dove Dio è già morto, ma gli uomini sono troppo spaventati o troppo
bigotti per rendersene conto.
Il culto di Dio deve essere tolto dal mondo, deve essere cancellata anche l'OMBRA DI DIO,
cosicché la NUOVA AURORA possa splendere. E' necessario arrivare all'ateismo puro così da
poter diventare SUPERUOMINI (o OLTREUOMINI, così come preferisce definirli Vattimo).
Superuomo è colui che dice "si" alla vita accettando attivamente e gioiosamente il fato, che capisce
la morte di Dio e la annuncia al mondo,si allontana dalla morale degli schiavi avvicinandosi a
quella aristocratica, trasvaluta tutti i falsi valori comprendendo le menzogne millenarie: il
Superuomo è colui che si trasforma in fanciullo.
Inoltre per Nietzsche non è "Dio che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza", ma il
contrario:l'uomo aveva bisogno di credere in qualcosa di potente e infinito per non soccombere
nella paura della propria finitezza. Dio sarebbe quindi la proiezione della perfezione che l'uomo sa
di non avere, è la speranza di una redenzione futura - in un'altra vita - di tutti i mali dai mondo.
-ai positivisti critica la fiducia assoluta nella possibilità di conoscere il mondo fenomenico
attraverso gli esperimenti. Per Nietzsche gli esperimenti sono già costruiti nella mente dell'uomo e
i risultati a cui si arriva altro non sono che profezie che si autodeterminano. L'Essere risulta
evaporato: ciò che arrivo a conoscere è strettamente legato ai termini in cui ho posto l'esperimento
che sto conducendo. Il positivismo non ha superato né cancellato Dio rendendo tutto terreno, ma si
è limitato a sostituire il "culto di Dio" col "culto dell'uomo", il "culto del fatto". Ha professato la
conoscenza totale dei fenomeni naturali assolutizzando gli eventi e rendendoli esterni.
Per Nietzsche non esistono "fatti" ma solo INTERPRETAZIONI: l'uomo è misura di tutte le cose,
è il soggetto delle interpretazioni, ma non potrà mai approdare ad una conoscenza assoluta della
realtà.
Ciò implica anche che ognuno può dare una propria interpretazione degli eventi, può essere diversa
da quella di qualcun altro, senza che necessariamente una delle due sia errata.
Anche Heidegger si pone il problema dell'ESSERE in relazione alle credenze positiviste e razionali: se il "vero essere" è il risultato delle scienze, lo sperimentabile, il misurabile, ALLORA "IO NON SONO". "Io sono" i miei sentimenti, le mie aspettative, la mia progettualità, i miei scopi, le mie ansie e le mie paure: ma tutto ciò non è né misurabile né quantificabile, quindi è quasi un'affermazione di "non esistenza" se letta in termini positivisti. Il considerare l'essere come "stabilità raggiunta e determinabile" altro non è che far coincidere "ciò che l'uomo fa e controlla" con le utopiche idee innate iperuraniche di Platone. Se il vero essere è solo il determinabile, allora non esiste il vero essere, non c'è nulla di certo né di assoluto: la perdita di verità assolute implica il dissolversi delle certezze,dei "sentieri tracciati a priori", del "giusto e sbagliato", del "bene e del male": la perdita di un "pensiero forte" che lascia spazio ad un "PENSIERO DEBOLE" non ancorato ad alcuna assolutezza.
Questa riduzione delle pretese assolute delle categorie ontologiche (che riguardano l'uomo come protagonista) può essere letta come INDEBOLIMENTO: non è più vero che "ciò che è è e non può non essere". In realtà questo indebolimento è l'UNICA FORMA DI EMANCIPAZIONE che ci permette di non credere più ciecamente nei paradigmi storici provenienti dalle scienze, che ci permette di passare dalla comprensione esistenziale (tipica del livello ontologico, che riguarda le essenze, gli esseri che sono negli enti) a quella ESISTENTIVA: cioè la conoscenza della quotidianità, dell'ente in quanto "qui ed ora", immerso nel suo tempo, nel suo gruppo di appartenenza, nel suo progetto. La PRESENZA non è fine a se stessa, ma totalmente immersa nella TEMPORALITA' che viene così a coincidere coi miei progetti e i miei scopi, con tutto ciò che nel tempo mi ha portato ad una certa voglia di scoprire, di sperimentare, di realizzare qualcosa.
Non è però detto che ciò che RICERCO (cioè ciò a cui arrivo
.che scopro) coincida con ciò che CERCAVO (ciò da cui sono partito): l'esperimento, la ricerca non sono più profezie che si autodeterminano: è necessario mettere in preventivo che il risultato potrebbe non essere quello che ci si aspettava: si deve tener conto della POSSIBILITA'.
Non c'è nulla di certo ma tutto è possibile.
"L'ESSERE E TEMPO" , "L'ESSERE E' TEMPO" : tutto col tempo si modifica, tutto per essere compreso deve essere letto in relazione al tempo.
L'uomo è L'UOMO DEL SUO TEMPO, rispetta regole che si è dato socialmente in accordo con gli altri "uomini del suo tempo", esiste in quanto appartiene ad un progetto ( che può essere sia sociale che personale) ed è attivo per la realizzazione di questo: è il concetto pascaliano di DIVERTISSEMENT, l'attività che impegna l'uomo e lo getta nel mondo.
Il PROGETTO è dato dalla temporalità: ci vede attivi nel presente, ci proietta nel futuro, ma è nato nel passato e ci mantiene in continuità con esso. Il progetto è ciò grazie a cui posso affermare che "sono sempre la stessa persona nonostante i cambiamenti che inevitabilmente subisco nell'arco di una vita": è ciò che mantiene vivi e che rende partecipi delle propria esistenza.
Non tutti abbiamo lo stesso progetto, non tutti apparteniamo alla stessa cultura, non tutti abbiamo le stesse esperienze: quindi NON TUTTI ABBIAMO LE STESSE VERITA' a cui aderire ciecamente. Il pensiero debole permette di inserire nel concetto di progettualità tante attività e tanti pensieri che normalmente verrebbero definiti IMPERFETTI: ma imperfetti per chi? Per chi non li sta "agendo", per chi non li sta "pensando" , cioè per chi probabilmente usa semplicemente un metro di valutazione diverso.
Non c'è la verità assoluta, c'è solo "ciò che è vero per me".
Questa è la posizione del pensatore debole: capisce la VERITA' DELLE VERITA' e sospende il giudizio circa le verità altrui in quanto capisce che è possibile che il suo pensiero valuti in modo diverso dagli altri, portando così a tanti risultati diversi ma contemporaneamente possibili.
Dalla verità si passa alla CARITA': non mi adeguo alle regole date, ma sono io stesso a definirle per poter vivere con gli altri. Rispetto le regole perché voglio vivere in armonia coi miei concittadini, non perché DEVO ma perché è moralmente meglio farlo.
Mi prendo cura delle cose e ho cura degli altri: preoccupazione e sollecitudine nei confronti degli altri sono il segreto per la coesistenza, alleviare le loro "cure", le loro preoccupazioni, per consentire ad ognuno di trovare il proprio essere.
In questa prospettiva però si afferma che una legge c'è: la legge naturale del NON LEDERE LA LIBERTA' ALTRUI, la morale della DECENZA. Se non c'è una verità, come faccio ad essere sicuro che ciò che è decente per me non sia indecente per qualcun altro? Non c'è un solo metro di giudizio per definire neanche la decenza, così come non c'è possibilità di affermare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato a prescindere. PANTA REI, tutto scorre, tutto cambia e modifica esistenze, pensieri e credenze. Ma allora che senso ha seguire regole vecchie di secoli se sento che non mi appartengono? Come posso condannare qualcuno che sta seguendo le sue regole, solo perché sono diverse dalle mie? Come si può sostenere l'incapacità di intendere e volere di una persona se nella sua mente i suoi discorsi hanno una coerenza, solo perché questa coerenza non coincide con la mia?
Se le idee sono per natura imperfette, come posso confrontare la pluralità delle idee?
Ci si è messi d'accordo per stabilire delle regole, sono state scritte quelle che sembravano più logiche, più condivisibili, più ragionevoli, probabilmente quelle più diffuse. Ma chi ha detto che queste siano anche quelle giuste?
Dopo la "pars destruens" ai danni del pensiero forte, deve venire la "pars costruens": solo che ognuno può costruire il SUO pensiero debole. La paura è sempre quella: se tutto viene lasciato in mano all'arbitrio personale, non si corre il rischio che il mondo diventi un'enorme prateria?