Cos'è per me il pensiero debole?

 

Beh, nonostante personalmente non abbia avuto quel pizzico di coraggio in più, necessario per esporre la mia opinione davanti ai partecipanti del convegno, vorrei comunque proporvelo almeno sotto forma di testo scritto, in modo da potervi rendere partecipi, pur restando comunque dietro al mio "muro di protezione".
Al convegno ho sentito più e più esempi di pensiero debole, associati all'ambito filosofico, all'ambito storico e ancora a quello delle esperienze personali, ed è a quest'ultima tipologia che mi vorrei riallacciare.
Il mio pensiero debole l'ho infatti individuato in un'esperienza personale che ho fatto con e grazie a Voi del gruppo della "Trasgressione".

Quando Antonella tempo fa mi invitò ad andare al primo convegno in carcere infatti, ho accettato principalmente per provare ad entrare in contatto con una realtà che guardavo con curiosità e soprattutto con diffidenza e distacco.
Arrivato quindi il momento dell'ingresso in questo ambiente "nuovo", la cosa che più mi incuriosiva era vedere come fosse l'interno di un carcere, vedere le celle e più di ogni cosa vedere che facce avessero i "mostri" lì rinchiusi.

La prima impressione risultò essere più drammatica del previsto, infatti tutti quei poliziotti, quella miriade di portoni blindati che si chiudevano dietro di noi al nostro passaggio e quelle pochissime finestre e tutte comunque con anteposte grandi sbarre, mi provocò un senso di soffocamento, di "paura" ed affermai subito: "mamma, quanto deve essere brutto stare qui dentro".

Poi arrivò il momento in cui entrammo nell'area adibita al convegno e iniziai a guardarmi in giro per cercare di individuare qualcuno di quei "mostri" e già qui il mio pensiero forte, iniziò a vacillare scoprendo di non riuscire a distinguere fisicamente i "mostri" dai "buoni".
Iniziò poi il convegno, i dibattiti, le varie domande e furono appunto queste a far crollare definitivamente il mio pensiero. Ricordo infatti di aver sentito Dino (mi pare si chiami così) fare tantissime domande, e non domandine, proprio domandone... "col punto interrogativo maiuscolo".

A questo punto ricordo di aver chiesto ad Antonella chi fosse quell'individuo che a quel tempo anche lei non conosceva. Iniziai a discutere con lei ipotizzando che fosse un professore universitario, uno psicologo o comunque una persona molto esperta in quel campo. Prima di uscire invece scoprimmo si trattasse di un carcerato, e capii quindi che i detenuti non sono assolutamente quei mostri che credevo, ma che erano in realtà persone uguali a noi, sia fisicamente che culturalmente, solo che di fronte a certi eventi, magari anche a causa della situazione o altro, hanno effettuato la scelta "sbagliata" che li ha portati alla loro condizione di detenuti.

Il mio pensiero forte quindi non poté far altro che crollare per lasciare spazio ad un pensiero molto più debole e reale che vedeva i detenuti non più come "mostri", ma come persone comuni con la sola colpa di essersi lasciati sopraffare dal loro "aspetto deviante" di fronte ad uno o più problemi che invece si potevano probabilmente affrontare in altro modo e comunque non infrangendo la legge e rispettando i diritti e la libertà altrui.
Spero di essere stato abbastanza chiaro.

Alessandro