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Stamattina stavo leggendo le varie relazioni che saranno proposte al convegno del 15 giugno, per prendere familiarità con quello che si dirà quel giorno. Ho così letto la relazione di Dino Duchini "Dimettersi o compromettersi"; e come a volte mi capita, un grillo ha cominciato a saltare di qua e di là nella mia testa ...
Questa relazione mi ha molto colpito: parla di un uomo milanese, che di fronte a una situazione economica precaria e fatta di fallimenti e delusioni, si è tolto la vita, gettandosi dalla finestra.
Mi sono piaciute le riflessioni di Dino, che ha parlato di "suicidio come una fuga da ogni tipo di SFIDA", di "suicidio come negazione della SFIDA". Altre considerazioni che mi hanno colpito: "Una caratteristica che sembra propria della SFIDA è la lealtà: il Sig. Giovanni ha dimostrato di averne molta non piegando i suoi valori a nessun compromesso, ha preferito la morte."... o ancora "il suicida è sempre e comunque perdente".
Di fronte a questo tipo di pensieri, che apparentemente e in un primo momento mi trovavano d'accordo, non sono riuscita a sentirmi del tutto tranquilla. Mi sono accorta, infatti, di non essere molto sicura del fatto che Giovanni col suo gesto abbia veramente perso la sua sfida, riconfermando il suo stato di perdente.
Senza dubbio, nel signor Giovanni c'era qualcosa di strano, in termini di priorità; si è costruito dei valori (sottolineo costruito perchè i valori assumono "valore" in base all'importanza che ognuno di noi attribuisce loro) a cui ha dato una potenza e una forza spaventosa. Il signor Giovanni ha incoronato questi valori e ha attribuito loro il ruolo di "sovrani assoluti e tiranni"; sotto il mantello del Super-Io essi hanno cominciato a giudicare quest'uomo, criticandolo in ogni sua azione. Secondo me è da qui che Giovanni ha cominciato a perdere le sue sfide, e forse il suicidio può essere considerata l'unica vittoria nei confronti di quella istanza così potente che non ha fatto altro che renderlo schiavo e oppresso, impedendogli di crescere. I sovrani assolutisti, infatti, non vedono di buon occhio la crescita dei propri sudditi: è destabilizzante per il loro potere. Quindi, ogni tentativo del signor Giovanni di rendersi indipendente, di migliorarsi, di accettarsi per ciò che era (nei pregi e nei difetti), affrontando le SFIDE DELLA VITA, è sempre stato bocciato da questi "valori assolutisti" che, in sede d'esame, non hanno fatto altro che riconfermargli la carica onoraria di "eterno perdente".
In tutto questo, il Signor Giovanni mi fa molta pena; provo a sentire il peso che lo opprime, cerco di percepire i suoi sentimenti, quando la sera, nel rincasare, si vedeva riconfermato (non da sua moglie, ma da questa istanza suprema) il suo perenne stato di bambino bisognoso, incapace di sviluppare le proprie capacità, e quindi perdente.
Detto tutto ciò, se devo essere sincera, in questo gesto estremo, qual è il suicidio, vedo l'unica sfida che Giovanni è riuscito a vincere. Attraverso questa sfida il signor Giovannni si è ribellato al potere assoluto che lo opprimeva, e attraverso una rivoluzione, ha destabilizzato il monarca, deprivandolo del suo potere più grande: il possesso della vita dello stesso Giovanni.
Purtroppo questa sua rivoluzione ha portato alla distruzione sia del nemico che di se stesso. Se forse avesse trovato un altro modo di ribellarsi al potere, chissà, magari ne sarebbe potuto nascere uno stato migliore.
Queste mie riflessioni non vogliono togliere nulla al lavoro di Dino; anzi, con queste mie considerazioni voglio solo godere del confronto di due punti di vista differenti.
Ciao Antonella