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Limiti e fughe

 

Antonella Cuppari


Ciao Livia,

Mi sei sembrata molto decisa in ciò che hai scritto, molto sicura; mi hai spiazzato. Le tue parole mi rieccheggiano nella testa. Suicidio e fuga.... suicidio e sfida.... perdere o vincere.... vivere o morire.... spazi e scelte.... No, il suicidio non ha nulla di positivo; non l'ho mai pensato. Forse il Signor Giovanni è veramente fuggito...in fondo il suo gesto, il suo agito potrebbe rispecchiare bene, questo suo desiderio. Si è lanciato da una finestra, è fuggito da uno spazio ormai troppo stretto per lui. Forse.

Ma secondo te ha pensato a dove sarebbe finito? E' fuggito per dove? Lo sapeva lui? Il suicidio, il suicidio... c'è qualcosa in questo gesto che continua a sfuggirmi. Di fronte all'omicidio, le domande che mi pongo sono veramente tante, soprattutto perché in molti casi (come l'uccisione di un proprio figlio o dei propri genitori) i confini fra il Sé e il non-Sé sono talmente precari che omicidio e suicidio si tengono per mano. Certo nell'omicidio un meccanismo di difesa (per il proprio sé) c'è: la proiezione. Nel suicidio questo alleato non c'è più e ci si ritrova soli di fronte al proprio dolore.

Certo, il suicidio è una fuga! E' anche una fuga dal fatto che le domande che ci si pone non trovano altra risposta che non sia quella mortificante dei giorni precedenti. Ma credo che ci sono anche altri modi di sfuggire alle domande cui non sappiamo trovare risposte, una fuga più comoda e forse meno compromettente: quella di cancellare queste domande.

Il signor Giovanni, si è chiesto cosa sarebbe rimasto di lui dopo? Ha risposto a questa domanda? Quando si è lanciato dalla finestra, cosa voleva fare? Rompere il guscio che teneva la sua anima prigioniera per poter "fuggire" via lontano? Voleva anestetizzare il suo dolore interiore? Ma quanto valeva per se stesso il signor Giovanni?

Non riesco a capire come una persona possa arrivare a togliersi la vita. Io sono io, vivo nel mio corpo,sono il mio corpo, vivo nella mia mente, sono la mia mente. Esiste un Io e un Non Io che è affascinante, di cui so di far parte. So che nel momento in cui morirò, io non ci sarò più, perché l'uomo e la vita sono legati inscindibilmente. E mi spaventa un mondo il fatto di non esserci più, e penso che questo spaventi un po' tutti. Altrimenti perché la medicina si è evoluta così tanto? Si cercano cure per ogni tipo di malattia, si cercano "antidoti" per non invecchiare", addirittura c'è chi aspira a farsi clonare pur di poter vivere in un corpo nuovo per molto tempo ancora.

Certo alcuni di questi sono casi di estrema adesività al proprio corpo, alla vita, e a volte, gesti estremi in questa direzione possono per me essere considerati anch'essi come delle fughe dalla sfida più importante che è capire il significato della vita stessa. In natura (uomini compresi) la vita guida ogni nostra condotta e ogni nostra evoluzione: una delle cose che ci contraddistingue dagli animali è che all'uomo non basta di essere al mondo, ma vuole sapere perché. La vita e il valore che essa assume per noi, ha stimolato lo sviluppo dell'arte, della filosofia, della medicina.

Ma il signor Giovanni che posto occupa in tutto questo? Chi si suicida come ha risolto questo problema? Non voglio riferirmi all'agito, ma a ciò che è avvenuto prima di questo. Cosa, nel Signor Giovanni, ha portato alla rottura del legame inscindibile uomo-vita? Scusami Livia, so di essere uscita un po' fuori tema. Rispondimi pure quando hai tempo, nell'attesa sarà meglio che mi rimetta a studiare. Per tutti: Di fronte a tanta confusione non c'è cosa per me più utile che confrontarmi con le opinioni degli altri. Quindi se qualcuno vuole dire la sua si inserisca tranquillamente in questo "dibattito virtuale". Ciao.