Livia Nascimben | Sintesi sulle due giornate |
Il Convegno, articolato in due giornate, la prima in carcere per detenuti, operatori e responsabili dell’Amministrazione Penitenziaria e del Servizio Area Penale e Carceri e la seconda alla Società Umanitaria aperta a tutti i cittadini, ha presentato, discusso e approfondito l’esperienza del K.R.I.S. alla presenza di diversi esperti coordinati dal Dr. Dario Foà, direttore del Servizio Area Penale e Carceri.
I programmi di Peer Support in carcere formano, sostengono ed organizzano i detenuti affinché si aiutino l’uno con l’altro, per affrontare problemi di comunicazione, di reinserimento e di salute.
I programmi sono operativi per un’ampia gamma di scopi, in svariati contesti come, ad esempio, l’area della riabilitazione dei tossicodipendenti.
Ci sono due tipi di programmi:
Il K.R.I.S. (Criminali Ritornano In Società) è un’esperienza pilota nata in Svezia e fondata nel 1997, è un’organizzazione non-profit, non politica, non affiliata a gruppi religiosi.
Il suo scopo principale è quello di aiutare le persone che sono appena uscite dal carcere. Il cuore dell’organizzazione è costituito da individui con un passato di tossicodipendenza e di detenzione, ma che ora vivono una vita libera da questi problemi.
Attualmente sono in funzione 28 centri K.R.I.S., distribuiti in Svezia, Danimarca, Finlandia e Lituania.
Maggiori dettagli possono essere trovati sulle pagine che dedica all'evento il sito WEB dell'ASL "Città di Milano" (http://www.asl.milano.it/kris), da cui sono state estratte queste prime note.
Riporto adesso i principali contenuti emersi nel pomeriggio, nei locali della Società Umanitaria, che è stato aperto con la visione di un filmato K.R.I.S. – Svezia.
Dal momento in cui escono dal carcere gli ex detenuti vengono affiancati da una “madrina” o da un “padrino” (big sister, big brother) che ventiquattro ore al giorno sono disponibili per qualsiasi tipo di aiuto e sostegno alle difficoltà che comporta il ritorno nella società.
Sono organizzate diverse attività a cui gli ex detenuti possono partecipare e che favoriscono loro un’integrazione con la società, tra cui l’istituzione di un Centro Padre-Figlio.
L’obiettivo di questa attività è di costruire uno spazio in cui gli ex detenuti possano riappropriarsi del loro ruolo di genitori e i figli sentire la vicinanza dei propri genitori.
Molti dei nostri membri hanno un figlio che hanno trascurato e di conseguenza provano sensi di colpa e di inadeguatezza. Alla maggior parte dei nostri membri manca la conoscenza e l’esperienza sul come comportarsi da genitore. Molti ex detenuti temono e evitano la responsabilità di genitore rischiando di creare una nuova generazione di criminali. Il Centro Padre-Figlio ha lo scopo di creare un ambiente sicuro e di sostegno dove i padri possano iniziare ad instaurare un rapporto stabile e di affetto con i loro figli. |
Attività questa, che mi ha particolarmente colpita perché in questo periodo il Gruppo si sta occupando del tema della comunicazione fra genitori detenuti e figli e discute sull’importanza di far sentire ai propri figli di essere interessati al loro processo di crescita.
Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele di Torino, ha sintetizzato quali siano gli obiettivi del Peer Support, del lavoro che gli ex detenuti compiono sul passaggio dentro/fuori:
E anche gli obiettivi meno espliciti di questo percorso:
Fiorenzo Galli, direttore del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, prima di presentare un nuovo progetto, ha sottolineato in che senso il museo si propone di promuovere cultura: “... cultura è tutto ciò che si fa per sé e per gli altri per rendere la vita migliore, in altre parole cultura come investimento sul capitale umano”.
Il progetto nascente, in collaborazione con l’ASL di Milano, consiste nell’accogliere nel museo i familiari che vanno a trovare i loro parenti detenuti al carcere di San Vittore, proporre loro una serie di attività con lo scopo di rendere, per i figli dei detenuti, l’intera giornata una giornata ricca e speciale e motivo di apprendimento e scambio.
Graziella Bertelli, operatrice al reparto "La Nave" di S. Vittore, ha parlato dell’esperienza di Peer Support al reparto di trattamento avanzato per tossicodipendenti del III Raggio.
Un detenuto, fra i residenti a "La Nave", ha il compito di accogliere i nuovi giunti e dare loro una serie di informazioni riguardo le attività e l’ordinamento del reparto. Il detenuto, che viene formato per il ruolo che andrà a svolgere, viene in questo modo molto responsabilizzato.
Inoltre, è stato istituito uno sportello, gestito dai detenuti stessi sotto la supervisione dell’equipe degli operatori, di ascolto dei conflitti che quotidianamente i detenuti hanno con i loro compagni di cella, con gli agenti o con gli operatori.
La permanenza a "La Nave" diventa così un’esperienza formativa e di arricchimento per cui il detenuto sente di poter dare un valore al tempo della carcerazione.
Daniele Pavani e Mara Gonevi hanno illustrato l’esperienza di Peer Support nella prevenzione dell’HIV, un sistema sperimentale di sorveglianza epidemiologica per le malattie infettive presso il carcere di San Vittore e la possibilità di un confronto fra pari in cui i detenuti possano scambiarsi informazioni riguardanti le infezioni da virus epatici e HIV.
Kathryn Leaf, responsabile della qualità e dei programmi di Peer Support di Cranstoun in Inghilterra e uno psicologo olandese hanno schematicamente proposto alcune conclusioni sull’attività di Peer Support: