Walter Madau | 20-10-2004 |
Sono Walter Madau e sono sedici anni che entro ed esco da istituti penitenziari. In ogni carcere, sezione o cella, ho la piacevole consapevolezza di trovarmi a casa mia.
Visto che l’unica mia ricchezza è l’onore, io cerco di difenderlo ad ogni costo. Ma questo mi spinge a comportarmi in maniera estremamente permalosa. Mi offendo con facilità e quando accade reagisco con violenza. Per natura sono un tipo bellicoso… sarei diventato un valido guerriero. Adesso sono delinquente e questo mestiere mi ha marchiato nell’animo, segnato sull’addome, sulla carne più amata da una piccola e anziana mamma. Insomma questa vita passata mi fa cogliere tutto quello che mi circonda, attraverso un insieme di filtri mentali brutali, quasi odiosi.
Forse avrete qualche problema a capire cosa voglio dire, perché ho un segreto che forse in passato lo era solo per me. Ma non voglio e non mi piace ricordare per l’ennesima volta il mio passato, i miei sbagli e la mia superficialità. Non voglio vivere cose già vissute; occupare del tempo che deve essere dedicato a un lavoro comune! E allora, torniamo a noi, ai nostri giorni, al gruppo di sabato e al convegno dell’undici novembre.
A mio avviso l’obiettivo di questo convegno è riflettere su come mancanze e irresponsabilità creino rigide distanze, disaccordi, sofferenze e odiose incomprensioni fra le parti coinvolte. Questo incontro all’Università, questo invito a un impegno comune è una magnifica occasione, per tutte le parti chiamate in causa, per assumere maggiore consapevolezza e senso di responsabilità, per trovare un punto di incontro, una stabilità tra Istituzioni, detenuti, uomini.
L’incontro è pensato per interrogarci e rendere migliore questa convivenza. Peccato, che al gruppo di sabato eravamo fiacchi. Nessuna pietra significativa è stata scagliata fuori dai nostri vulcani. Non ricordo interventi significativi verso un punto di incontro per l’undici novembre.
Per il mio assiduo menefreghismo irresponsabile, mi sento dentro una società che attualmente non mi appartiene. Mentre vedo in costruzione una cornice che contiene idee, pensieri che in parte mi appartengono e che in parte soffro ad accettare, una cornice che mira a un bene collettivo e pensa a una realtà che tiene conto di diverse ragioni e di diverse mancanze, dei desideri e delle mancanze di chi vive, non solo del criminale.
Parlare e ancora parlare, ascoltare e ancora ascoltare, persone e ancora persone. Ma quanti siamo e a cosa puntiamo? Scrivo, scrivo perché mi sento nervoso, impaurito e appesantito in questa marcia verso il godimento di nuove idee e nuove sensazioni, verso il piacere di vivere e comprendere qualcosa anch’io di tanta sofferenza procurata ad altri e vissuta in prima persona.