Una mia compagna

Antonella Cuppari

06-11-2002

 

"Quando, con il mio slancio personale, realizzo qualche cosa […] vedo che la cosa fatta è un opera che pur restando mia, va ad integrarsi in un insieme completamente diverso da quello dal quale sembra essere uscita in quanto opera mia, e ben più grande di essa."

"L'opera non è che una tappa nella vita personale. Essa non è mai fine a se stessa. Per il fatto stesso di realizzarsi e di integrarsi effettivamente al divenire, essa diviene imperfetta. Questa imperfezione non deriva dal paragone con altre opere giudicate migliori, ma si fonda sulla natura stessa del nostro slancio personale. Compiuta che sia, l'opera sembra dominata da un valore superiore che sta al di sopra di essa. Ciò riguarda tutte le opere, indipendentemente dalla loro natura e provenienza. In tal modo l'opera, per così dire, si sdoppia e finisce col proiettare l'immagine di un'opera ideale di cui essa non è che una tenue espressione. […] L'opera è opera in quanto proietta per la sua stessa imperfezione, l'immagine della sua perfettibilità. […] Trovare perfetto ciò che si è creato, è mettere una cosa morta laddove non c'è posto per una cosa viva, è trasformare in deserto il campo fertile dell'esistenza. L'opera compiuta non fa nascere in noi che il desiderio di andare avanti, pura sapendo che le opere che seguiranno avranno lo stesso carattere di relatività."

(da "Il tempo vissuto" di Minkowski, p. 61)

 

Di fronte all'annuncio del nuovo tema da approfondire, l'imperfezione, la mia prima reazione è stata di smarrimento, la stessa sensazione provata quando abbiamo cominciato il lavoro sulla sfida. Anche questa volta, si diceva nella scorsa riunione, si tratta di un tema di confine, aperto a mille interpretazioni.

Cos'è l'imperfezione? E' una domanda che adesso mi sorge imperiosa, nonostante abbia usato chissà quante volte questo termine senza chiedermene il senso. Probabilmente il significato che si cela dietro è così intimamente legato alla nostra natura che non ce lo siamo mai chiesti.

Imperfetto mi richiama alla mente la vita stessa, che progredisce, evolve alla ricerca della perfezione. Ma esiste questa perfezione, dov'è? Non mi viene in mente nulla al mondo che sia perfetto; nemmeno la natura, se si sta a guardare bene, è perfetta. Prendiamo il caso delle malformazioni genetiche, o che altro.

Ma cosa è la perfezione?

La prima immagine che mi viene in mente è un punto lontano, una meta. La nostra evoluzione biologica può essere vista come un cammino verso la perfezione, la storia del genere umano è una testimonianza del desiderio che l'uomo ha di arrivare a vivere in un mondo perfetto e in una società perfetta.

Ma è raggiungibile questa perfezione? Io credo di no. Credo che il senso della vita sia proprio nell'essere imperfetti e nell'intendere la perfezione come un punto verso cui procedere. La perfezione ci dà la forza di evolvere, di migliorarci. Ma la perfezione è e comunque rimarrà un punto lontano e irraggiungibile. Essere perfetti significa stasi, morte della spinta vitale che ognuno di noi possiede.

A volte il rapporto che abbiamo con la perfezione è ambiguo; da un lato la ammiriamo e faremmo di tutto per averla fra le nostre qualità, dall'altro la temiamo, ci fa paura.

A questo proposito mi viene in mente il cammino fatto dagli uomini nella rappresentazione pittorica di se stessi. Provo a pensare alle prime pitture egizie; il disegno assomiglia, sotto certi aspetti, a quelli che fanno i bambini piccoli: mancanza di prospettiva, corpo disegnato in posizione frontale, piedi girati di novanta gradi… La pittura, per molti secoli, cerca di dare una rappresentazione sempre più realistica del suo modello; si scopre la prospettiva, il modo migliore per rappresentare la terza dimensione, per ritrarre un volto.

 


Ernst Ludwig Kirchner: Cinque donne in strada

Poi la virata; riprodurre ciò che i nostri occhi vedono cessa di essere un obiettivo; il cubismo l'espressionismo, si avventurano in una ricerca appassionata dei sentimenti più intimi e problematici e gli artisti trovano nel mondo della imperfezione, la loro ispirazione.

L'imperfezione è spesso vista in senso negativo. Chi è imperfetto è brutto, non è armonioso, è deforme. Spesso mi alzo la mattina e mi trovo orribile nella mia imperfezione. Ciò che vorrei diventare è distante, imprendibile. Il mio ideale di perfezione sarà sempre lì a guardarmi, e io sarò sempre impegnata a cercare di raggiungerlo. Ma credo che anche la forma ideale sia sempre in trasformazione; non credo che si possa mai arrivare a un punto nella vita e dire "Oh, ora sono perfetta".

Questo cammino può diventare una corsa frenetica. Ci sono persone che rifiutano se stesse per essere quell'ideale. C'è chi si rifà il seno, chi si rifà il naso, c'è chi comincia diete ferree che non abbandona neanche quando è in gioco la sua stessa vita. Eh sì, perché a volte il desiderio e l'urgenza di essere perfetti, porta alla distruzione di sé, come persona imperfetta. Si rifiuta il proprio corpo per quell'ideale, si è disposti a sacrificare soldi, tempo, gli altri e se stessi.

L'imperfezione è essere vivi e essere se stessi; noi siamo imperfetti e tutto ciò che è al mondo lo è. Ma, secondo me, è proprio questo essere non-perfetti che ci spinge a migliorarci. E' importante però essere consapevoli che nessuno è perfetto e che nessuno mai potrà diventarlo.

Si può essere perfetti nella propria imperfezione, ma mai senza di essa. Chiunque ambisca ad essere perfetto, rifiutando se stesso, finisce col distruggere sé e gli altri.

L'identità di ognuno di noi è per me quindi un gioco continuo fra fantasie di perfezione e misure, a volte dolorose, dell'imperfezione, fantasie e misure che, se da un lato sembrano contrapposte le une alle altre, in realtà possono avere fra loro una splendida collaborazione, permettendo al mondo e all'uomo stesso di evolvere, creare e svilupparsi.