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Mi chiamo Primo Robson. | |
Nel 1994, arrivai in Italia dal Brasile, mi prostituivo. Essendo transessuale, non è che avessi altre possibilità di lavoro. Nelle mie serate conobbi 2 gemelli omosessuali con cui feci amicizia, li chiamavo "i due disastri in famiglia"; loro mi fecero conoscere Fabrizio De Andrè, dicendomi che aveva questo progetto di scrivere una canzone su di noi, in generale, ma che non riusciva ad entrare in questo mondo a Lui sconosciuto.
Ad ottobre 95, combinato un appuntamento, ci siamo visti in un localino, eravamo in 5: io, i gemelli, Fabrizio ed una sua manager. Lui fumava come un turco, io non è che ci credevo tanto che fosse la persona che dicevano e non sapevo neanche come comportarmi, cosa mi avrebbe chiesto, ma poi sono bastati 5 minuti per essere in sintonia. Mi assicurai che fosse proprio sicuro di quello che voleva fare, dicendogli che lui era di un altro livello di vita, ed anche che avrebbe potuto passare dei guai. Ma lui mi disse che non aveva nessun problema, che ci credeva e lo voleva fare e che non aveva paura.
Era così naturale che la gente non si accorgeva neanche di chi fosse, davo certo più nell'occhio io, perché mi è sempre piaciuto curarmi molto e bene, e nel vestire altrettanto. Ogni nostro incontro avveniva in bar o in qualche negozio, mi faceva sentire a mio agio sempre, con la sua sincerità. Ogni volta che ci vedevamo diceva "è arrivata la principessa " .
Nel nostro parlare era molto attento ai miei problemi, con rispetto e stima, in confidenza, cosa che non mi capitava mai in quel periodo della mia vita da strada; non avevo amicizie vere e sincere con cui confidarmi, mentre con lui da subito mi trovai a parlare di tutte le mie cose più intime, che aveva un rispetto naturale, mi affezionai quasi come ad un padre, quel padre che non ho avuto!
Parlavamo di tutto, della vita balorda che facevo andando sulla strada, e una volta lui mi disse, in confidenza, che se avesse avuto la miseria più nera, una madre malata come nella mia situazione, non avrebbe mai e poi mai fatto una vita così, piuttosto sarebbe andato a chiedere l'elemosina.
Gli dissi che non facevo del male a nessuno nel fare la vita del marciapiede, anzi che ero io principalmente in pericolo, che non ero capace di andare né a rubare né a spacciare o altro, ed il lavoro era un sogno; nessuno ce lo dà mai per il fatto di essere transessuali, per come siamo fatte, non avevo altra scelta che sfruttare questa mia femminilità.
Anche quando non stava bene, lui fumava e beveva, si preoccupava molto di me, degli altri, ma quando toccava a Lui, se ne fregava.
Questo mi faceva arrabbiare e mi dava fastidio, questo suo comportamento.
Era così spontaneo, che era facile per chi gli stava vicino parlargli, tirar fuori le confidenze, penso che questa era la sua specialità, era anche molto veloce, sempre, con lui ero un fiume di parole di sensazioni, di cose che non avrei mai detto neanche a mia madre, a nessuno. E non avevo mai né l'occasione o il modo di parlare io di lui.
Mii ricordo una volta nella casa discografica, ci fu un momento di pausa dal lavoro per un panino, e mentre mangiavo, Lui mi chiese di getto,"ma quando sei con il tuo moroso a casa, cosa gli fai da mangiare, cosa ti piace cucinargli?"; gli risposi un po' scocciata, perché neanche un panino in pace mi faceva mangiare! Voleva tutto della mia vita, ed io tutto gli ho dato: le mie esperienze con tutte le emozioni, le più profonde e segrete.
Passato così circa un anno il 95, nel 96 a febbraio registrammo la canzone, mi volle pure nell'incisione in quella parte finale dove io in lingua portoghese ripeto una serie di parole in una sorta di cantilena, ogni parola ha una sua storia, un vissuto più ampio e particolare che fa parte della mia vita.
A settembre dello stesso anno ci sarebbe stato il lancio del disco.
E come finale avremmo dovuto fare una foto di gruppo, noi tutti quelli che avevano collaborato a realizzare quel progetto, la foto doveva poi essere sulla copertina del CD. Ma disgrazia volle che mi arrestarono per quello che mi era capitato, e mi persi la fine del progetto con tutte le nuove prospettive che si erano aperte con questo incontro della mia vita.
Fabrizio, comunque cercò di venire a parlarmi in carcere a San Vittore, sapeva che avrei subito discriminazione anche in carcere come fuori.
E' sicuro che rimarrà sempre nel mio cuore, è stata una esperienza molto speciale e unica, che mi ha dato anche molta fiducia in me stessa, per riuscire, con forza ad affrontare la vita.
Mi hai dato più di quanto tu immaginassi; GRAZIE FABRIZIO!