Il divenire della coscienza |
Ivano Moccia |
05-02-2014 |
A poco a poco mi sveglio, mi rendo conto di aver intrapreso un percorso senza mai fermarmi né farmi domande. Dentro e attorno a me tristezza, solitudine, terra bruciata, come del resto gli anni della vita che ho buttato. Guardo in faccia la realtà, una realtà che avrei dovuto affrontare da tempo. Senza strumenti mi sento soffocare, la mia mente affollata non sa da dove cominciare.
A poco a poco prendo coscienza e riavvolgo il nastro. Incontro una crosta, formata dalla mia rabbia e testardaggine, non riesco ad urlare e mi ritrovo di continuo prigioniero di me stesso, avvolto da interminabili silenzi e sprofondo nell’oscurità.
Man mano provo a raschiare e sento una scarsa abilità nel dialogare, mi sento frenato e impacciato, come un vulcano in eruzione mi rinchiudo in una pentola a pressione. Vivo una regressione, assorbito in un isolamento che continua a darmi tormento.
Un muro da me costruito, mi esclude dalla società, quella stessa società che poteva divenire uno strumento di crescita e conoscenza. Oggi coscientemente mi ritrovo indietro di anni, sprovvisto di strumenti ma carico soltanto di sofferenze e solitudine.