Una visita inattesa

Fulvio Cattaneo

21-03-2015  

Erano mesi che lo scrittore non entrava nel suo studio. Non appena avesse messo piede nella stanza, ne era sicuro, avrebbe provato una stretta al cuore alla vista della vecchia scrivania di legno lucido. Di tornare a sedersi lì, ancora non se la sentiva, nonostante la lunga vacanza che si era concesso a scopo terapeutico fosse finita da un pezzo. Continuava a rinviare, soffrendone, il fatidico momento di rimettersi a quella scrivania, temendo di scoprire che l'ispirazione era perduta per sempre.

Non aveva mai scritto di getto. Il suo lento cammino di scrittore, inoltre, era sempre stato intervallato da numerose soste. I sintomi della crisi, tuttavia, erano stati inequivocabili. Il foglio davanti a sé, ancora bianco o, tuttalpiù, nervosamente scarabocchiato dopo ore chiuso nello studio. Poi, le passeggiate serali per le vie della città diventate sempre più lunghe, nella vana speranza che tornassero a fornire uno spunto, come spesso in passato. E quando aveva provato a riportare sulla carta le poche idee timidamente affacciatesi, ecco che quelle erano svanite invariabilmente, beffardi miraggi di una fantasia inaridita.

Una sera d'estate, l'aria insolitamente fresca lo invogliò a uscire. Non aveva perso l'abitudine di fare passeggiate nelle ore serali, anche se ormai il loro principale scopo era legato ai salutari effetti che ne ricavava per il suo fisico ingrassato. Quella volta si spinse fino al lungomare, mischiandosi poi alla gente che lo affollava. Una brezza lieve portava le note allegre di un'orchestrina.

Certe sere, quando il mare diventava una distesa nera dal contorno incerto, avvertiva, quasi avesse potuto toccarla, la misteriosa forza vitale che emanava dalle sue acque. Gli stava succedendo anche quella volta e, come sempre, ne restava affascinato e vagamente turbato insieme.

A spezzare il rinnovato incanto, sopraggiunse il ricordo che proprio a quelle scure e sconfinate acque doveva l'ispirazione per l'ultima delle sue storie, che gli sembrava ormai perdersi nel tempo.

Questo pensiero lo accompagnò per tutta la via del ritorno, provocando un miscuglio di rabbia e nostalgia che da parecchio non provava così forti. Non appena rimise piede nel suo appartamento, dove viveva solo, si diresse con decisione verso lo studio.

Non ve lo condusse l'idea improvvisa per una nuova storia, tanto insperata da doversi mettere subito per iscritto, prima che potesse sfuggire. Non ve lo spinse neppure una precisa intenzione. Se avesse dovuto spiegarne il perché, infatti, lo scrittore avrebbe detto di obbedire a un oscuro e potente richiamo.

Accesa la luce nella stanza, rimase piacevolmente sorpreso di vedere che l'alta e pericolante pila di libri in attesa di sistemazione, addossata alla parete di sinistra, era ancora in piedi, incombente come l'aveva lasciata. Quindi, senza oltrepassare la soglia, fece correre lo sguardo dalla libreria, posta sullo stesso lato, alle grandi tende, chiuse e di colore scuro, davanti a sé. Poi, lentamente, lo spostò sulla scrivania alla quale le tende facevano da sfondo.

L'effetto che gli fece fu anche peggiore di quello previsto, a causa di un dettaglio che aveva rimosso. Rovesciata tra le carte che la ingombravano, stava la lampada da tavolo, fracassata in un impeto di rabbiosa disperazione l'ultima volta che aveva provato invano a lavorare. In quel momento, gli parve l'immagine impietosa della sua lunga sofferenza. Per l'immediato sconforto fu tentato di spegnere la luce e andarsene dalla stanza, senza più disturbare i fantasmi che la abitavano.

Ciò che lo aveva spinto a ritornarci, tuttavia, era più forte delle sue resistenze a restare, perché poi non si mosse, incerto sul da farsi.

Non si era ancora allontanato dalla soglia, che percepì con la coda dell'occhio una sagoma indistinta che occupava la poltrona in pelle alla sua destra, in un angolo della stanza.

Un giovane magro e pallidissimo lo stava infatti osservando, immobile come una statua. Aveva il volto scavato e i capelli arruffati, indosso un cappotto decisamente fuori stagione, nel quale tuttavia sembrava a suo agio. Comodamente appoggiato all'alto schienale, teneva le braccia conserte con l'aria di chi stava pazientemente aspettando.

- Buonasera, non intendevo spaventarla - disse il giovane rimanendo dov'era, prima che lo scrittore, impietrito, riuscisse a parlare. - Mi scuso per l'intrusione, ma dovevo assolutamente vederla e ho atteso qui, nello studio, dove credo saremo più tranquilli -

E poiché l'altro non si era ancora riavuto dallo spavento, continuò: - Mi rendo conto che l'ora è tarda, ma la faccenda è troppo importante. Non ci metterò molto ... -

- Chi è lei, cosa fa in casa mia? - lo interruppe finalmente lo scrittore, con la voce che gli tremava.

- Davvero non mi riconosce? - domandò il giovane, sembrando deluso.

- lo non la conosco, non l'ho mai visto in vita mia! Se ha preso qualcosa, la riponga e se ne vada o chiamo la polizia! - disse lo scrittore sforzandosi di alzare la voce, ma con scarsi risultati. Era grosso almeno il doppio di lui (e analogo doveva essere il rapporto d'età), tuttavia, non essendo mai stato un impavido, non se la sentiva di affrontarlo. Purché se ne andasse subito, era disposto a soprassedere al danno alla finestra che presumeva avesse spaccato o forzato per entrare, dato che sulla porta d'ingresso non c'erano segni di scasso.

L'interlocutore non parve affatto intimorito e per tutta risposta accavallò le lunghe gambe, assumendo poi un'espressione pensierosa. Nel silenzio che seguì, mentre lo scrittore cercava dentro di sé il coraggio per dare seguito all'avvertimento, il giovane sembrò essersi dimenticato di chi gli stava davanti. Assorto nei suoi pensieri, teneva lo sguardo fisso alla punta della scarpa.

Lo scrittore fu allora sfiorato dall'idea che si trattasse di un sicario, freddo e spietato. Per quanto gli paresse assurda, non riuscì a scacciarla subito. Lo sconosciuto gli ricordava proprio uno di quegli assassini di professione visti nei film, che si introducono nell'appartamento della vittima e la attendono tranquillamente seduti con la pistola puntata. Il suo sicario l'arma non l'aveva ancora estratta, ma solo perché finora si era divertito a giocare un po' con lui. E il distacco che stava ora manifestando era sicuramente una forzatura, una mossa studiata per disorientarlo e protrarre così il suo cinico gioco, prima di compiere ciò per cui era venuto.

Abbandonò questa fantasia quando lo vide alzarsi di scatto e camminare nervosamente per la stanza, a testa bassa, come in preda a un tormento improvviso. Lo scrittore, che non riusciva a schiodarsi dalla soglia e neppure a gridare aiuto, non poté fare altro che assistere al quel penoso su e giù. Lo sconcertante comportamento dell'intruso gli faceva ora pensare a un pazzo, più che a un assassino al soldo di un misterioso e improbabile mandante. Chi in fondo, se non un pazzo, avrebbe potuto tenere un discorso così sconclusionato e andare in giro, in piena estate, con quell'incongruo cappotto?

Continuando a osservarne impotente l'andirivieni tuttavia sentiva, senza saperlo spiegare, che non aveva cattive intenzioni. La sicurezza ai limiti della spavalderia che aveva contraddistinto l'estraneo all'inizio era scomparsa, per far posto a un'inaspettata fragilità. E la compostezza, la dignità quasi, con cui esprimeva il suo inspiegabile disagio, rafforzavano nello scrittore quell'impressione. Questi doveva però accordarla con la realtà incontrovertibile della intrusione in casa sua, che gli imponeva invece di temerlo e di stare in guardia.

Tornato a sedersi in poltrona, il giovane pareva più tranquillo, come se la tempesta dentro di lui si fosse repentinamente placata. La calma olimpica che aveva inizialmente mostrato era però sparita.

- Le dice niente Il lungo inverno ? - chiese, con un leggero affanno nella voce.

Il padrone di casa lo guardò come se lo mettesse a fuoco per la prima volta. Proprio non capiva cosa stesse passando per la testa di quel tipo. Poi rispose di no alla strana domanda, ma, pur essendo stato sincero, non era la verità. Infatti, prima della sua crisi, aveva cominciato a scrivere un racconto mai ultimato, intitolato Il lungo inverno, che giaceva abbandonato nel cassetto. Tuttavia, la mente impegnata a fronteggiare la potenziale minaccia rappresentata dallo sconosciuto, non se n'era rammentato. E' assai probabile, però, che se anche lo avesse ricordato, la sua risposta sarebbe stata la stessa. Dato il difficile frangente, e non avendo di quelle vecchie pagine parlato mai con nessuno, avrebbe ritenuto il richiamo al racconto del tutto involontario, una pura coincidenza.

- Lo ha scritto lei, no? - continuò l'altro in tono spazientito - Parla di un giovane scrittore. Per essere precisi, lo aveva incominciato, ma non lo ha terminato -

- E' vero... me n'ero... completamente dimenticato - balbettò il padrone di casa sbalordito - ma... come fa a saperlo? -

- Lo so, lo so. Perché si dà il caso che sia proprio lo scrittore del racconto - affermò il giovane con una punta di orgoglio.

E siccome l'altro scrittore, rimasto a bocca aperta, era visibilmente confuso, proseguì: - Comprendo la sua reazione, ma cerchi di seguirmi. E' della mia condizione, diventata insostenibile, che sono venuto a parlare. Ho detto che sono un suo personaggio, ma non è esatto. Non che le abbia mentito, intendiamoci. E' più corretto in realtà affermare che lo sono solo in parte, essendo io un personaggio a metà. Infatti, le chiedo: ci può essere un personaggio senza una storia? Voglio dire una storia conclusa, con un inizio e una fine. Ogni personaggio che si rispetti ne ha una, per la quale viene ricordato e che ne rappresenta lo specchio -

- Scrivere, ne so qualcosa, è faticoso - continuò - e richiede tempo. Quasi inevitabilmente, comporta infiniti aggiustamenti. Così, per rispetto nei suoi confronti, ho aspettato. Finché, protraendosi la penosa attesa, il terribile sospetto di rimanere la specie di fantasma che sono non ha iniziato a lavorare dentro di me come un tarlo, spingendomi alla fine a incontrarla. E la sua reazione nel vedermi giustifica purtroppo i miei timori -

Lo scrittore era intanto andato alla scrivania e si era abbandonato sulla sedia. Ascoltava rapito lo sfogo del suo personaggio. Non era insensibile alle sofferenze altrui, ma l'emozione e la meraviglia di trovarselo davanti (in carne e ossa avrebbe detto, tanto era nitida la percezione che ne aveva) erano talmente forti da impedire, almeno per il momento, altri sentimenti.

- E poi - riprese l'altro, nelle cui parole adesso si combinavano astio e amarezza - perdoni la franchezza, ma c'è del cinismo in lei. Prima mi plasma, fornendomi passioni e aspirazioni, tra cui quella di scrivere. Poi però, cosa fa? Ci ripensa e con leggerezza mi fa una croce sopra. Proprio quando stavo per raccogliere i primi frutti delle mie fatiche letterarie! In altre parole, invita l'affamato a una tavola riccamente imbandita e, dopo avergli offerto un misero assaggino, fa sparire sotto i suoi occhi tutto quel ben di Dio. D'accordo, non sono io che dispongo, ma mi pare un trattamento davvero crudele -

- Non faccio che sognare di tornare nella mia storia, a tutto quello da cui sono stato strappato - sospirò.

- Non mi è dato conoscere l'intera vicenda che aveva immaginato per me - continuò dopo una breve pausa, in tono più pacato - So che potrebbe riservarmi complicazioni o delusioni. D'altra parte la vita, e quella di noi personaggi non è un'eccezione, è fatta di gioie e dolori in proporzione variabile. Dovrei forse rassegnarmi alla sorte che mi è toccata? C'è condanna peggiore che restare nel limbo dove sto ora, un'ombra tra le ombre, anziché essere un personaggio come gli altri?

- Quelle parole assai poco riverenti non avevano mancato di sorprendere lo scrittore. Non riteneva di meritarsele. Superata l'iniziale sorpresa però, anziché esserne risentito, ne fu orgoglioso. Una reazione, la sua, soltanto in apparenza paradossale. In fondo, non lo aveva creato lui (quando ancora scriveva) quel personaggio dal carattere forte, che gli stava parlando con fermezza, esponendogli così efficacemente le sue ragioni?

Ora che quello taceva, tuttavia, riprendendo a fissarlo a braccia conserte come all'inizio, ma con l'aria adesso di volerlo sfidare, lo scrittore sentiva affiorare sentimenti rimasti fin lì schiacciati in fondo all'animo. Erano pena per il triste destino del giovane e senso di colpa per averlo, anche se inconsapevolmente, determinato. Il loro miscuglio, però, non bastava a spiegare il disagio che, nel pesante silenzio subentrato nella stanza, avvertiva sempre più fortemente.

C'era dell'altro, nel suo animo, che di quel disagio costituiva, a ben vedere, la ragione principale. Infatti, si era appena reso conto, come chi ritorna di colpo in sé dopo essersi a lungo perso nelle fantasie, dello scopo dell'incontro. E tale scopo lo rendeva inquieto. La richiesta che motivava la strana visita, finora soltanto adombrata, di lì a poco sarebbe stata esplicitamente formulata, mettendolo alle corde.

Non intendeva fare ulteriormente soffrire il personaggio. Dicendogli la cruda verità, che cioè non scriveva ormai da molto, troppo forse, avrebbe ridotto le sue speranze al lumicino. D'altra parte, per rassicurarlo, non voleva neppure impegnarsi con una promessa tanto azzardata che equivaleva a un inganno.

- Mi spiace davvero ... non potevo certo sapere ... - farfugliò per prendere tempo, mentre pensava a una improbabile scappatoia. Il suo penoso tergiversare venne alla fine interrotto, perché la temuta richiesta giunse puntuale. Gliene parve il preannuncio il fatto che il giovane, abbandonata la sua fissità, si era messo a sedere sull'orlo della poltrona, schiarendosi la voce.

- Adesso, sia franco: concluderà la storia? - domandò il personaggio a voce stranamente bassa, come se gli stesse confidando un segreto che qualcun altro nella stanza poteva ascoltare.

- In attesa che rientrasse in casa - aggiunse - ho ammirato la sua libreria. Mentre scorrevo i titoli, notando che in fatto di classici e narrativa abbiamo gli stessi gusti, mi sono saltati all'occhio i libri che ha scritto. Mi sono fatto l'idea che sia un bravo scrittore e che non dovrebbe quindi incontrare difficoltà a proseguire il racconto ... -

- Beh... vedrò.. vedrò quello che posso fare... - rispose l'altro - E' che non è facile ... è passato così tanto tempo... - E desiderava sfogarsi a riguardo, confessargli tutta la sua pena per gli insormontabili ostacoli incontrati alla scrivania e la paura di rimettersi lì seduto, ma si trattenne dal farlo. A frenarlo non fu soltanto la volontà di non deluderlo, ma anche l'orgoglio di scrittore improvvisamente rispuntato. Udì invece la sua voce, quasi irriconoscibile tanto era flebile, dire di sì, che avrebbe finito il racconto.

Il giovane balzò in piedi, incredulo. Quindi si avvicinò commosso al suo autore, tenendo le braccia tese in avanti. Sembrava avesse intenzione di abbracciarlo, ma poi le abbassò di colpo. Infilando le mani nelle tasche del cappotto, si fermò a un passo da lui.

- Non ero così sicuro che avrebbe accettato - disse - Stento a crederci, non può immaginare cosa abbia passato, che incubo spaventoso sia stato!

- Tradendo tutt'a un tratto imbarazzo, dovuto forse al silenzio mantenuto dallo scrittore, si strinse nelle spalle e aggiunse che si era fatto tardi e doveva assolutamente andare. Si giustificò dicendo che il fatto che non stesse in una storia, non comportava che nel mondo reale si trovasse bene. Anzi, se doveva essere sincero, lì si sentiva come un pesce fuori dall'acqua.

Lo scrittore, sorpreso e spaventato insieme dalla promessa appena fatta, che gli pareva una follia e tuttavia si vergognava di rimangiarsi, non cercò di trattenerlo. A quel punto, la presenza del personaggio gli era diventata scomoda.

Così lo accompagnò alla porta. Mentre lo precedeva verso l'uscita, fu attraversato dal pensiero che l'inatteso ospite non fosse probabilmente costretto, per andarsene, a passare dalla porta. E immaginò che potesse fare altrimenti, nello stesso modo in cui, forse, era entrato in casa sua senza dover spaccare o forzare la finestra. Un modo comunque precluso agli individui in carne e ossa.

- Allora, ci conto - gli disse il personaggio giunti sulla soglia, sorridendo di gratitudine, gli occhi ancora lucidi.

Anche lo scrittore sorrise, ma per l'imbarazzo che toccò a lui ora provare, di fronte alla fiducia che il personaggio gli accordava. Quindi, dopo essersi accomiatati, rimase a guardare frastornato l'allampanata figura diventare sempre più piccola, mentre scendeva le scale con passo leggerissimo.

***

Come era facilmente prevedibile, quella sera faticò a prendere sonno. E quando finalmente ci riuscì, si ritrovò in una grande stanza, piena di luce bianchissima, dove un gruppo di persone stavano parlando animatamente tra loro. Gli astanti, come se si fossero accorti in quel momento della sua presenza, si interruppero di colpo per chiedergli un parere su ciò di cui discutevano. Lo scrittore, che conosceva l'argomento su cui doveva pronunciarsi, si sentì lusingato dalla loro richiesta.

Quindi, con una vaga eccitazione, iniziò a parlare. La sua voce, però, era diventata irriconoscibile. Era debole e roca, mentre le parole gli uscivano a prezzo di un enorme sforzo. Non come in un balbettio, ma quasi fossero quelle di un malato provato dalla sofferenza o, peggio, di un moribondo.

Non era solo il penoso inconveniente a preoccuparlo, ma anche l'effetto che doveva produrre sull'uditorio. Tuttavia, poiché ci teneva a dire quello che aveva chiaro in mente, non volle fermarsi. Tanto più che i presenti erano rimasti impassibili e parevano ascoltarlo in rispettoso silenzio.

L'ardua prova che si era costretto a sostenere, fermamente determinato ad andare fino in fondo, sarebbe però stata tutta in salita. Parlava con grande lentezza e aveva l'impressione che il suo stentato discorso durasse da un tempo lunghissimo. Le parole richiedevano una fatica sempre maggiore. Finché, pur con l'impegno che ci metteva per farsi intendere, non cominciò a biascicarle. Dapprima solo qualcuna, poi le involontarie storpiature divennero più frequenti. E quando questo capitava, era un'ulteriore pena per lo scrittore provare a pronunciarle correttamente, tanto più che non sempre i suoi sforzi riuscivano a riparare all'errore commesso.

Eppure, nonostante la nuova difficoltà e il crescente disagio, ancora non volle arrendersi. Si aggrappò alla fragile speranza che l'inconveniente, improvvisamente com'era sorto, si sarebbe risolto da un momento all'altro, così da riprendere il controllo della situazione e riscattarsi almeno in parte davanti ai presenti. Perché desistere, poi, visto che questi ultimi, per quanto a quel punto gli sembrasse assai strano, continuavano a starsene in silenzio, gli sguardi impenetrabili?

Lo scrittore non fece però che prolungare lo stillicidio cui si era illuso di porre fine. E mentre sentiva dilagare lo sconforto per l'inutilità di tanta fatica, si chiese per la prima volta, smarrito, se l'uditorio non stesse aspettando cinicamente che finisse di parlare, per poter esprimere un giudizio impietoso.

Fu in quel momento di avvilimento e incertezza insieme che si svegliò. Nella stanza in penombra, le pale del ventilatore a soffitto, vagamente distinguibili, mandavano il familiare fruscio.

Che si fosse trattato di un incubo ricorrente negli ultimi tempi, non ebbe neppure il modo di sentirsene sollevato. Infatti, comprese immediatamente che il giorno che stava iniziando, di cui vedeva la luce debole e indecisa filtrare dalla finestra, sarebbe stato lungo e difficile.

Cercò di riaddormentarsi, ma senza successo. E siccome era ancora presto, assurdamente presto per lui che non era mai stato mattiniero, prese la scusa di rimanere a letto per non dover concretamente pensare alla prova che lo attendeva, che gli appariva disperata come quella affrontata in sogno.

Continuava, tuttavia, a tornargli in mente il dialogo della sera prima, culminato nella sua fatale e scriteriata promessa. E non dandosi pace per il pasticcio che si era procurato, si rimproverava per essersi sbilanciato in quel modo con l'ospite e per non avere invece preso tempo. Oppure, sembrandogli adesso la mossa migliore, per non avere messo subito le cose in chiaro, con brutale schiettezza.

Mentre rimuginava sul singolare incontro avuto nello studio, udì dentro di sé una suadente vocina che conosceva bene. Nonostante sapesse che era quella dell'abulia, non si impedì di ascoltarla. Ora la vocina gli stava insinuando un sospetto e cioè che il personaggio gli avesse preparato una trappola, in cui era ingenuamente caduto. Non lo aveva forse adulato, complimentandosi per i libri che aveva scritto? E poi, solleticata così la sua vanità, non aveva fatto leva, studiatamente, sul suo orgoglio?

Non avendo incontrato resistenze, dopo un'abile pausa la vocina tentatrice proseguì. Senza modificare il bersaglio, ma usando una diversa argomentazione, bisbigliò allo scrittore che il giovane ne aveva approfittato. Era assai improbabile, gli fece notare, che un personaggio, per il viscerale rapporto che si stabilisce con l'autore, non ne conosca alla fine alcune debolezze e, chissà, anche qualche imbarazzante segreto. Era così vincolante la promessa fatta a chi aveva agito in modo tanto subdolo? E poiché non le erano ancora giunte obiezioni a riguardo, gli ricordò, come a voler chiudere la faccenda, che era lui lo scrittore, non quel giovane imberbe e presuntuoso, semplice personaggio al suo servizio. Quindi, perché non chiudeva gli occhi e non provava a riprendere sonno?

Detto e fatto, lo scrittore, girandosi sul fianco, seguì il consiglio. Era però ancora ben desto quando, poco dopo, tornò a sentire lo sfogo del giovane. Per quanto facesse per ignorarlo, il discorso tenuto dall'ospite e la richiesta che ne era seguita continuavano a risuonargli nella testa. Allo scrittore pareva di combattere contro una volontà estranea, che si divertiva ad accanirsi contro di lui.

Quasi a conferma di tale sensazione, quelle parole presero a susseguirsi più velocemente, senza dargli tregua. Spaventato, lo scrittore spalancò gli occhi. Cominciava a temere di non potersele levare dalla mente. Finché, udendole ripetersi sempre più rapidamente, non pensò che di lì a poco in quel vortice inarrestabile sarebbe stato risucchiato.

Credeva ormai di esserci finito irrimediabilmente dentro, da come ne veniva incalzato, quando, con un misto di sorpresa e turbamento, si accorse che le parole erano cambiate.

Si trattava delle stesse pronunciate nello studio e che gli erano rimaste indelebilmente impresse. Su questo non poteva sbagliarsi. Tuttavia, non ci sentiva più, o soltanto, l'imbarazzante e fastidiosa richiesta d'aiuto, cui aveva tentato fin lì di sottrarsi. Esprimevano anche dell'altro adesso, quelle parole. Il loro tono era mutato, rendendole vibranti.

Nel loro vorticoso inseguirsi, avvertiva una passione che gli risultava familiare. Risvegliavano il ricordo, non troppo lontano, della fiamma vitale che aveva bruciato pure in lui. Nello sforzo di rammentarsene, lo scrittore richiuse gli occhi e la memoria di tale fiamma, da appannata che era, cominciò a farsi più chiara. E una volta diventata nitida, non poté che contemplarla con un miscuglio di stupore e confusione. Davanti all'immagine del fuoco ardente della sua passione, non si capacitava di averla trascurata fino al punto di essersela scordata.

Sentì poi la commozione che si staccava dal fondo del suo animo, dove fino a quel momento era rimasta bloccata sotto il peso degli altri sentimenti. Finalmente libera, stava salendo in superficie. Intuendone l'intensità, lo scrittore per un istante temette di esserne travolto. Finché non emerse e dilagò benefica, trascinandolo con sé. Lo scrittore vi si abbandonò, come un naufrago che, lontano dalla costa, si affida sfinito alla provvidenziale corrente che lo porterà in salvo fino a riva.

Mentre la forza di quel sentimento lo sospingeva verso un approdo, il vortice che l'aveva scatenata cessò. Le parole che lo avevano formato, tuttavia, non si spensero subito. Lo scrittore continuava a udirle, come un dolce suono che si perdeva in lontananza. Sempre disteso sul letto, rimase immobile facendosene cullare, finché non finirono del tutto.

Quella stessa mattina ritornò nello studio. Si sentiva insolitamente leggero e questa volta vi entrò senza indugiare sulla soglia. Le opprimenti ombre che lì avevano abitato se ne erano andate. Aperte le grandi tende, spalancò la finestra, permettendo alla luce ormai calda del sole di invadere la stanza. Intendendo mantenere la promessa, estrasse poi dal cassetto della scrivania il tormentato racconto da completare.