Quello che non ho |
Enzo Martino | 11-12-2005 |
Quello che non ho è una camicia bianca… Credo sia meglio avere una tuta da meccanico, unta e sporca, e sapersi conquistare il mondo senza le pistole, senza segreti, e non stravolgersi l’esistenza cercando di realizzare dei sogni irrealizzabili. Per cercare la realizzazione di sogni sbagliati e confusi, oggi sono in carcere, pagando una pena alta; mentre sto facendo pagare un prezzo altissimo alla mia famiglia. Quello che non ho sono le tue parole Nelle condizioni odierne, mi manca un poco di tutto, ciò che sento intorno è un vuoto di parole delle persone che amo; i figli e mia moglie. Anche se tutto questo sembrerà un sentimento scontato per chi è genitore o figlio, per chi come me è detenuto da dieci anni ininterrotti, questi sentimenti hanno bisogno più che mai di essere praticati. Soffro perché ancora oggi non riesco a dare delle motivazioni ai miei figli sulla mia vicenda e quello che sarà il loro e il mio futuro. Io il sole lo avevo a portata di mano, ma, non sono stato capace di guardarlo e conquistarlo. Quello che non ho è un treno arrugginito Se potessi tornare al passato, capirei le persone che mi amano e li amerei senza tradire la loro sensibilità. Con loro costruirei il mio futuro con delle basi più solide. Di sicuro non mi fregherei con le mie mani. Oggi capisco il significato della vita e della sofferenza; quest’esperienza non la cancellerò dalla mia mente. Nel periodo della mia detenzione ho avuto tempo per riflettere, ma per quanto rifletta, non posso fare nulla per tornare indietro e cambiare il percorso già fatto. Desidererei avere degli strumenti per poter utilizzare la pena e in qualche modo renderla feconda, perché credo che dagli errori si impari a crescere e poi ripartire per ripagare la società per le ferite causate dai nostri comportamenti. Quello che non ho è questa prateria Desidererei in questo momento andare per i campi insieme a mio padre, sentire la sua voce, le sue critiche sul fatto che cercavo di scansare il lavoro, per andare a correre con i miei compagni dietro al pallone. Salire sull’albero del carrubo, su in alto e sentire il profumo dei fiori, nascondendomi per sentire i discorsi dei contadini che zappavano i campi. I loro discorsi che spaziavano su vari argomenti. Finivano per litigare per dei limiti del campo, litigavano dopo aver riempito la pancia di vino, e mio padre era uno che non si tirava indietro. Io soffrivo, pensando quanto era stupido quel comportamento, convinto che alla fine sarei stato uno di quelli che ne avrebbero pagato le conseguenze. Di tutto quel passato un poco di malinconia è rimasta dentro di me. La malinconia del parlare con le persone che lavoravano i campi. Per le persone importanti della propria vita si fanno delle scelte importanti. Le persone importanti della mia vita sono mia moglie e i miei bambini; quella scelta l’ho fatta perché ho capito che la loro educazione passa anche da me, ed io ho la responsabilità di proteggerli e parlagli di come si deve evitare la devianza. Quello che non ho non lo voglio; e oggi non mi resta che il loro amore.
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