Parte di un'avventura

Giovanni Mentasti

15-05-2004

Da piccolo con altri ragazzi giocavo alla guerra e a guardie e ladri, con le pistole e i mitragliatori finti. Quando scovavi un nemico o ti facevano una imboscata, all’improvviso e col cuore che subito accelerava, ci si puntava la pistola e si faceva “bam! BAM!”, forte, con la voce.

Dopo di che, quello meno svelto di solito fuggiva nei prati e nei cortili, e riprendeva a giocare lo stesso anche se era stato “colpito” in pieno. Andavamo avanti pomeriggi interi. Dopo si litigava su chi aveva sparato a chi, chi doveva essere morto, e chi riteneva di essere stato colpito solo di striscio alla tempia; come i cowboy o Dylan Dog. Magari poi andavamo a mangiare i lamponi o i fichi di qualche giardino, e ci facevamo inseguire fin nei boschi dai padroni; correndo e ridendo insieme dei loro insulti e dei rastrelli che agitavano.

Quando ero solo, pure immaginavo avventure, rappresentandole con i miei giochi o semplicemente sognando ad occhi aperti. Mi immaginavo un forte e valoroso guerriero (tipo Conan il barbaro, c’ho pure un disegno a testimonianza) o un agente segreto, magari un investigatore o un cacciatore di taglie, uno che usa anche le armi e ha la giustizia dalla sua. O ha la sua propria giustizia, che soggettivamente e cinematograficamente è lo stesso. Mi immaginavo un duro, agile e forte, i riflessi e i nervi d’acciaio.

Con le scuole medie devo dire che mi sono progressivamente disilluso da queste fantasie eroiche.

Ero più preoccupato del mio aspetto fisico, di quello che dicevo, di ciò che pensava la gente di me, della scuola e del mondo dei grandi che cominciava a circondarmi veramente, immenso e da perdersi, e per nulla lontano. Non m’interessava più solo “quell’eroe che avrei potuto essere se...”, ma quello che ero o non ero, oppure stavo o non stavo diventando, e già era difficile.

Immaginavo semmai ragazze innamorate perdutamente di me.

Da qualche anno ho scoperto che mio nonno Remo ha fatto la Resistenza, aiutava i partigiani delle montagne all’epoca del fascismo. Nascondeva in città i partigiani braccati, faceva da tramite con quelli che lo volevano diventare, gli forniva cibo e risorse, distribuiva la stampa segreta, faceva da staffetta per i messaggi.

Insomma prendeva dei rischi. Infatti fu anche arrestato e portato a S.Vittore a Milano per qualche tempo (l’ho saputo da mio padre quando ho cominciato ad andare lì spesso). Riuscì anche a parlare con Mussolini quando fu catturato qui a Como.

Quando ho saputo questi avvenimenti mi sono subito sentito affascinato, rapito, orgoglioso. Pensare in qualche modo a un eroe in famiglia (e che non ho mai conosciuto di persona).. che poi ha combattuto per una causa così giusta per me, che da italiano l’ho studiata sui libri di storia.

E mi sono praticamente subito trovato ad immaginarmi partigiano!
Sulle montagne, sporco e segnato dalla fatica e dall’avventura, a fare la Resistenza: sabotaggi, clandestinità, rapine, imboscate al nemico.

Col fucile in spalla, mi immaginavo (mi immagino) come dov’essere lottare per la propria libertà, sentire giusto il combattere per evitare di essere occupati, prigionieri, costretti, uccisi dal nemico, dagli stranieri invasori e tiranni... fondamentalmente da assassini. Col fucile in spalla; che figura farei! Bello e pericoloso sarei, terribile e valoroso.

vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore...

Col fucile puntato, dietro a un nemico sorpreso, con abilità, alle spalle.
Che cosa farei... gli dovrei sparare se no mi sparerebbe prima lui. Non posso rischiare di mio, gli ho puntato un fucile e quello, se ce la fa, mi spara.
Che eroe sarei senza le tacchette sul calcio del fucile?
Bam BAM, che ci vuole? Già che lo sto facendo, tanto vale immaginare come dev’essere anche questo.

Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue

Ma ora mi viene un vuoto, come una interruzione nella pellicola del film che mi sto inventando. Come un velo di angoscia e di tristezza che blocca la scena. Perché non è un ruolo o un personaggio; in quel momento, se fosse vero, ci sarei io. E quell’altro non è che dopo scappa e dice “non è vero che ero morto, mi hai mancato, non vale”! Anche nella fantasia non posso completamente negare che quello lo uccido. E se lo ammazzo, muore, non c’è più; qui finisce il gioco suo e anche il mio.

E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore
[...]
Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porta la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce

Valori, dignità, libertà, onore.
Una società o una cultura considera l’omicidio un crimine, la stessa può tollerare e addestrare un esercito intero di killer, e in stato di guerra giustificare l’assassinio e a volte lo sterminio, anzi li considera un valore e distribuisce perfino medaglie d’oro.
Valori, dignità, libertà, onore... cambiano anche a seconda del punto di vista.

Cos’è, un patriota che lotta contro l’oppressore non ti sembra una cosa giusta?
Non so cos’è giusto. Chiunque mi darebbe ragione, mi dico.
Ma chiunque alla fine vinca. Chiunque alla fine sia ancora vivo.
Non so esattamente cos’è giusto né cosa farei.

Ma rimane il fatto: io quel momento lì in cui premo il grilletto non riesco a figurarmelo. Non so come va a finire o, comunque, sento che da quelle parti, là dove continua la storia, sparisce la curiosità e l’orgoglio con cui ho cominciato. So che, da quel momento, mi lascio dietro l’incanto di essere parte di un’avventura e finisco di essere un eroe.

 

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