Il servo pastore

Giovanna Malisan

Liceo linguistico Oderzo 27-03-2008
 
 

“Dove fiorisce il rosmarino
c’é una fontana scura
dove cammina il mio destino
c’é un filo di paura
qual é la direzione
nessuno me lo imparò
qual é il mio vero nome
ancora non lo so

”Con questi primi versi l’autore dice che nessuno lo ha mai aiutato a trovare la retta via ed é proprio quello che un carcerato può provare: dietro ad un uomo privato della sua libertà c’é spesso una persona disagiata, con una situazione familiare non troppo rosea.
Nessuno ha ancora aiutato l’ uomo di cui parla questa canzone a ritrovare se stesso: il carcere, se non c’é qualcuno che ascolta e consiglia questi uomini, é inutile, perché quando il carcerato tornerà in libertà, compirà di nuovo gli stessi atti.

“Quando la luna perde la lana
e il passero la strada
quando ogni angelo
é alla catena
ed ogni cane abbaia
prendi la tua tristezza in mano
e soffiala nel fiume
vesti di foglie il tuo dolore
e coprilo di piume”

Vestire di foglie il dolore é un modo per mascherarlo: spesso i carcerati si chiudono in loro stessi, non si sfogano e non pensano ai loro errori.
Coprire il dolore di piume significa mitigarlo: é una metafora per dire che qualcuno (un familiare, un amico, un medico...) o qualcosa (la musica e la scrittura) può aiutare il detenuto a rendere minore il proprio dolore.

Io credo che un uomo, mentre é in carcere, debba avere degli aiuti concreti: mio nonno, nel suo tempo libero, va nel carcere di Pordenone per ascoltare, parlare e tenere delle riunioni con i detenuti.
Io penso che non sempre servano dei medici o degli psicologi per aiutarli.
Sono sempre più convinta che un amico che ascolta la tua storia, sia sufficiente.
Non si può pretendere che un ex carcerato non compia gli stessi atti senza un gruppo di sostegno che continua a seguirlo.