Livia Nascimben | 07-04-2007 | Istituto Verri - Busto Arsizio |
Oggi il Gruppo della Trasgressione incontra alcune classi dell’Istituto Professionale Verri di Busto Arsizio (VA). Il tema dell’incontro è il piacere della responsabilità.
Del gruppo sono presenti Angelo Aparo, Bruno Turci, Pellegrino Varletta, Diego Mombelli, Francesco Leotta, Giuseppe Liuni, Gualtiero Leoni, Gaetano Viavattere, Luigi Tammaro, Vito Cattaneo, Chiara Daina, Giulia Marchioro, Livia Nascimben, Silvia Casanova e la figlia di Francesco Leotta, Ilenia Leotta.
Aparo: Piacere e Responsabilità sono due termini che a volte risulta difficile mettere insieme. Vediamo se è vero!
Prendono la parola alcuni studenti…
Carla: Piacere per me è fare ciò che si vuole, ciò che piace. Responsabilità significa non fare danno. Vanno bene assieme. Responsabilità e piacere sono in accordo se, con responsabilità, fai ciò che ti piace. Il piacere viene dopo. Sono invece in disaccordo se la responsabilità che hai non ti piace.
Anna: E’ più facile cedere alla tentazione che essere responsabili.
Domenico: Responsabilità e piacere sono due termini che vanno bene insieme. Piacere, ad esempio, è avere una famiglia; e avere una famiglia è assumersi delle responsabilità.
Stefania: Il piacere è qualcosa che attrae, la responsabilità si cerca di evitarla, è un po’ più complicata.
Lorenzo: Le responsabilità possono portare al piacere. Se ad esempio un detenuto diventa responsabile della sua famiglia, il figlio sta meglio. La responsabilità però è difficile.
Valentina: Ti assumi delle responsabilità per provare piacere, ma puoi cadere nell’errore.
Aparo: Cosa ci viene in mente quando pensiamo a piacere? E quando pensiamo a responsabilità? Scriviamo alla lavagna su due colonne le parole che abbiniamo a questi due termini.
PIACERE | RESPONSABILITA’ |
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Aparo: Ora proviamo a individuare un collegamento tra i termini della prima e della seconda colonna. In altre parole, c’è una strada che collega –ad esempio- il godimento all’impegno o la crescita alla libertà?
Roberta: Amore e Responsabilità. L’amore comporta responsabilità. Le responsabilità all’interno di una relazione vengono vissute con piacere. Senza responsabilità non c’è amore.
Lilli: Impegno e Godimento. Se mi impegno poi ho soddisfazione.
Lorenzo: Sacrifici e Gioia. I sacrifici portano alla gioia.
Ilenia Leotta: Soddisfazione e Coerenza. Portare avanti un’idea, essere più maturi.
Francesco Leotta: Non avevo capito cosa significasse fare il padre. Ho bisogno di portarmi via da questa giornata l’esperienza di essere padre. Oggi mi è successa una strana e bella cosa: per me è un giorno importante, c’è qui mia figlia. Mi sento padre e questo mi dà gioia. Ma non voglio essere il padre di tutti, come mi sentivo agli altri incontri nelle scuole.
Ho capito che mi mancava la responsabilità. Al gruppo, da quando studio, ho capito che se non mi prendo le mie responsabilità mi viene la depressione, mi sento male, mi annoio e perdo mia figlia.
Voglio capire come non trasgredire. Prima volevo prendermi una birra, in carcere non si possono bere alcolici e ho smesso di bere. Il dott. Aparo mi ha detto che mi avrebbe offerto il gelato. Il gelato è questo microfono!
Oggi non voglio comprarmi la fiducia di mia figlia, me la voglio sudare. Sono mancato da casa quando aveva 12 anni. Ha scoperto che ero criminale, che facevo una doppia vita. Per recuperare il rapporto con lei sto cercando di rieducarmi, ho trovato un gruppo molto combattente che mi aiuta. Se il giudice non crede al gruppo, non crede alla rieducazione.
Vito Cattaneo: Per me essere responsabile era portare a casa i soldi alle mie figlie. Ma era una scusa! Mi dicevo che non potevo permettermi di non comprare loro i vestiti più belli, in realtà dei soldi ne usufruivo io, li spendevo soprattutto per me. E passava in secondo piano che rubavo. Ero egoista.
Non ho mai sopportato il tradimento. Quando ho capito di avere tradito le mie figlie, mi sono sentito male. Ho perso ciò che non riavrò più, la possibilità di vedere crescere le mie figlie. Oggi sono contento di avere trovato questo cammino, dall’altra parte però soffro per non avere risposto alle domande delle mie figlie, del tipo: perché la luna è bianca? Non lo so, lo devo studiare, non voglio trovarmi impreparato quando me lo chiederanno. E’ una responsabilità, un piacere. Sono piccole cose che creano un rapporto.
Non sono qui per insegnarvi niente. Voglio trarre qualcosa da voi, andarmene via più ricco. Oggi ho capito che ho fatto del male con le rapine. Un tempo non tenevo in considerazione gli altri. Ora con quale coraggio potrei rubare la libertà agli altri e ridurre uomini e donne a bambini schiacciati? Fino a quando non capisci questa cosa, fai le rapine.
Diego Mombelli: Per me responsabilità è consapevolezza delle proprie azioni. Per provare il piacere della responsabilità occorre che le azioni siano positive, che suscitino sentimenti positivi in chi riceve queste azioni. Ciò non può avvenire quando minacci, picchi, uccidi.
Gualtiero Leoni: Se fai qualcosa per gli altri, se svolgi i compiti per cui sei chiamato, provi piacere. Cercare un punto d’incontro, essere responsabile, fare la cosa giusta in quel momento, esserci, è questo che conta veramente.
Gaetano Viavattene: Ho due figli, di 13 e 9 anni. Li ho conquistati con beni materiali quando erano piccoli. Oggi sono grandi e non riscontro affetto nei miei confronti. La relazione è da costruire.
Livia Nascimben: Volevo tornare all’accostamento delle parole Soddisfazione e Coerenza fatto da Ilenia. A volte senti di procedere con coerenza verso un obiettivo e ti sembra di provare soddisfazione nel raggiungerlo.
Io voglio distinguere però fra quegli obiettivi che identifichiamo in solitudine (e per prendere le distanze dagli altri) e quelli che concordiamo insieme ad altre persone. I primi ti portano a sentire ulteriore rabbia, sensazione di soffocamento e distanza da te stesso e dagli altri. Mentre i secondi ti aprono alla vita, e mano a mano che li raggiungi, senti di diventare te stesso e vivi il piacere della responsabilità.
Aparo: Livia ha parlato di progetti che, se concordati, ti permettono di seguire una traiettoria riconoscibile e verificabile anche da altri. Mentre nel progettare in solitudine si rischia che il sogno e la veglia si confondano, che si mescolino insieme la voglia di fare e la voglia di tirarsi indietro. Che cosa chiediamo a un insegnante o a un genitore perché lo studente/figlio possa avere piacere a crescere?
Roberta: L’insegnante deve essere complice. Noi abbiamo conosciuto una prof.ssa che insegnava ma era anche amica. Gli insegnanti devono insegnare la materia e darci degli stimoli.
Lilli: E’ importante che ci sia qualcuno che ti dia fiducia di essere capace e ti faccia venire la voglia di studiare, non che ti dia solo compiti per il giorno dopo.
Livia Nascimben: Parlo della mia esperienza. A me, per sentirmi viva e capace, sono stati utili questi quattro elementi:
Luigi Tammaro: Fare i genitori è difficile, spesso si sbaglia, ma è il mestiere più bello del mondo! Se il genitore non riesce a fare il genitore, è dovere del figlio aiutarlo.
Bruno Turci: Un figlio deve sapere che suo padre non lo molla, ma magari è il papà che ha bisogno di sentirsi dire: papà, quando mi porti a mangiare questo cavolo di gelato?
Lilli: Con mio padre non ho un gran rapporto. I miei genitori sono separati. Mio padre non sa raccontarmi di lui, giudica solo quello che faccio io. Alcuni genitori non sanno ascoltare. Il suo silenzio mi fa male e di questo sono molto dispiaciuta.
Vito Cattaneo: E’ la foto della mia famiglia: Ciao, come stai? Bene. Il lavoro? Bene. Poi la TV. Non voglio dare colpe a mio padre, ma spesso non avevo voglia di tornare a casa perché mi sentivo a disagio e stavo per strada. Non ho mai trovato il coraggio di aiutare mio padre a svolgere le sue funzioni. A 15 anni ero troppo fragile. Questa fragilità mi ha portato a compiere degli errori.
Diego Mombelli: Penso che l’insegnante svolga un ruolo fondamentale. Io chiederei complicità, di insegnarmi la storia, ma anche la vita, i valori.
Chiara Daina: Io all’insegnante chiederei di cogliere come momento di comunicazione non solo il raggiungimento degli obiettivi, ma anche le sconfitte. Lo studente arrabbiato o il figlio che non ti saluta quando entra in casa hanno bisogno di spazio tanto quanto lo studente realizzato. Per procedere nella vita non servono solo gli obiettivi che ti realizzano, ma anche gli stati d’animo che vivi.
Studentessa: Io vorrei essere ascoltata quando ho bisogno.
Studentessa: L’adulto dovrebbe capire quando sei arrabbiato. E se prendi un voto insufficiente, evitare di dirti con rabbia che puoi fare meglio.
Ilenia Leotta: Un genitore ti deve capire, ti deve seguire quando hai un problema. E’ lui che deve capire il problema, ad esempio la tua rabbia per il suo errore.
Francesco Leotta: Il padre non l’ho avuto, l’ho perso all’età di 6 anni. Sono stato cresciuto, insieme a mio fratello, da una monaca. Ci puniva e non sapevamo perché e noi facevamo più dispetti. Poi è arrivata la cognata svizzera. Ci puniva a distanza di tempo e non sapevi mai perché ti puniva. Ci batteva col battipanni.
Oggi da genitore ho capito che voglio recuperare i miei sbagli, voglio essere riconosciuto per quello che farò, per le responsabilità che mi prenderò. Vorrei ricominciare a parlare con mia figlia e mi piacerebbe che accettasse anche le mie regole.
Aparo: A sua figlia serve vedere quello che fa oggi, non quello che farà domani.
Giuseppe Liuni (si rivolge a Ilenia tra le lacrime): Ho una figlia. Riconquistare la sua fiducia è un casino. Ci vediamo anche poco. L’ho tradita, non so cosa dirle. Bisogna guardarsi dentro, abbiamo sbagliato, va bene, ma come noi vi diamo un’altra possibilità quando sbagliate, datecela anche voi.
Silvia Casanova: A me serve attenzione, ma non troppa. A volte gli adulti non capiscono che a 20 anni sei una persona in continuo cambiamento. L’adulto deve lasciare al ragazzo il tempo di trovare la sua strada. Serve qualcuno che ti aiuti a crescere, ma che non ti soffochi con la sua presenza.
Studentessa: Si impara a diventare genitore, non nasci genitore. La mia infanzia non è stata molto bella, nemmeno la mia adolescenza lo è. Sono stanca di dare consigli ai miei genitori, voglio che siano loro a comportarsi come è meglio comportarsi. Cerco questo da mio padre, ma per quanto ci provi è fiato sprecato.
Luigi Tammaro: Ci sono padri pigri, a 20 anni hai le capacità per crescere insieme.
Studentessa: Perché parlare? Perché cercare di avere affetto? So che torna a casa stanco, ma se si mette davanti alla TV e non mi calcola, sto male. Non posso sempre cercarlo io!
Aparo: Proviamo a fare un progetto. Prendiamo una persona con un rapporto difficile con suo padre, cosa possiamo progettare per fare in modo che questo rapporto possa evolvere? Poi non è detto che il progetto vada a buon fine, ma proviamoci.
Chiara Daina: Per pensare a un progetto, devo avere lo spazio. Non si può a tavolino decidere che oggi abbraccerò mio padre, perché non funziona. Il mio obiettivo è dire a lui le sensazioni che vivo, non i progetti che ho. Cercare di trasmettergli che le persone sono felici anche quando ascoltano i sentimenti e parlano di cose che non hanno a che fare con le ambizioni.
Livia Nascimben: A me, per recuperare il rapporto con i miei genitori, è stato utile parlare del rapporto che alcuni detenuti hanno con i loro figli. E’ stato un modo per parlare di noi stessi. Fargli leggere gli scritti del gruppo è stato un modo per coinvolgerli in quello che faccio e che mi piace fare.
Studentessa: Anche per me gli insegnanti e i genitori dovrebbero parlare con i ragazzi e starli ad ascoltare, ma senza avvicinarsi troppo. Ascoltare, ma non essere invadenti.
Lilli: Bisogna sapere comunicare con i propri genitori, ma se ti cerco e non ti trovo, mi ritiro. Tu hai 40 anni, io 18, dovresti essere tu a insegnare, non viceversa.
Studentessa: Un genitore deve starti vicino, incoraggiarti a crescere, a diventare capace di pensare. Crescere non è solo sapere quello che c’è scritto sui libri.
Aparo: Sono già passate due ore e tutti ci stiamo impegnando. Qualcuno può chiedersi (non il “Corriere della sera”, che “per pubblicare un articolo ha bisogno di nomi di spicco da riferire…”): cosa vengono a cercare o a fare qui dei detenuti?
Giulia Marchioro: Questo è lo spazio adatto per dare voce, oltre che alla parte imperfetta e problematica che li ha condotti in carcere, anche, e oggi soprattutto, alle parti positive che hanno sempre avuto, ma tenuto in silenzio. Queste componenti positive delle persone vengono fuori attraverso la relazione. Al gruppo si parla di qualsiasi cosa. Ad esempio si parla dell’esperienza della rabbia: Gualtiero trova nelle mie considerazioni qualcosa che lo rappresenta e io trovo nelle sue parole qualcosa che mi appartiene. Fra me e lui si crea un’intesa, un’amicizia che si alimenta quando lavoriamo assieme. Io su di lui costruisco delle aspettative e lui su di me. Queste aspettative vanno oltre la rabbia da cui siamo partiti. Così né lui né io siamo portati a guardare il mondo con gli occhi della rabbia.
Gualtiero Leoni: Giulia ha appena dato un esempio di cosa è la responsabilità. E’ stata pronta a dire la cosa giusta al momento giusto. Questo è per me essere responsabili.
Patrizia Canavesi, insegnante: Ho sentito molte cose che gli studenti chiedono agli adulti: essere ascoltati, compresi, avvicinati ma non troppo. Io nell’insegnante volevo vedere la passione.
Roberta: Ma questo lo diamo per scontato! O credo che l’insegnante abbia sbagliato la sua vita.
Patrizia Canavesi: All’insegnante lo studente chiede il sapere, l’entusiasmo, la complicità. L’insegnante allo studente chiede la fiducia per impegnarsi insieme.
Aparo: Vediamo un po’ di scoprire in che condizioni può svilupparsi la fiducia.
Bruno Turci: Per certe cose occorre essere in due. Fin da piccoli si comincia ad impastare il pane. Credo sia utile mettersi in gioco. Per me è stato possibile perché ho sentito la disponibilità dell’altro. L’arricchimento principale è stato rendermi conto che abbiamo il potere di determinare ciò che vogliamo essere. Il pane non lo si fa in 3 minuti, occorre il tempo dell’impasto, della lievitazione e della cottura. Io ho capito di avere il potere di fare il pane!
Aparo: Patrizia Canavesi ha bisogno che i suoi alunni le accordino fiducia. Penso a Diego, amico di Patrizia, che è venuto al gruppo con un atteggiamento da esaminatore, e sono curioso di sapere come ad un certo punto ha deciso di partecipare alle discussioni.
Diego Mombelli. Sono andato sulla fiducia. Conoscevo Patrizia, mi sembrava una persona con degli ideali giusti, lei mi ha consigliato il gruppo e ci sono andato. Però ho cominciato a esaminare, ero diffidente. Nella precedente carcerazione il mio pensiero era non pensare. Avevo ibernato il pensiero. Ho passato i primi 8 anni ibernato, poi ho conosciuto Patrizia e ha cominciato a stimolarmi. Pensare fa male, mi dicevo. Poi ho osservato quanto accade al gruppo: mi piace perché penso! Tante volte ci rimango male, devo mettere in gioco 30 anni di vita. Ne ho buttati via 15. Per ora sono contento di avere cominciato a riflettere. Spero di recuperare parte del tempo perso. Riflettere è un bene.
Luigi Tammaro: Non si recupera nulla! 15 anni sono 15 anni buttati via. Io ho fatto le mie scelte alla vostra età, mi sentivo padrone del mondo. Dopo tanti anni di carcere, sono consapevole di avere perso tempo e il tempo è irrecuperabile.
Aparo: Mi pare importante quanto detto da Diego: fare l’esame all’insegnante per scoprire se ha degli ideali di riferimento. Per una persona che incontra un’autorità è importante riconoscere in lei degli ideali credibili. Se gli ideali non sono credibili, nemmeno la fiducia diventa possibile.
Lilli: Come si sono comportati i vostri genitori quando avete sbagliato?
Bruno Turci: Mi sono stati vicini, non mi hanno mai abbandonato, nonostante tutto.
Luigi Tammaro: Fino ad ora mi hanno aiutato. Si sono chiesti dove hanno sbagliato. Forse non hanno sbagliato, ho sbagliato io. Poi ho cercato di fare il figlio e aiutarli a fare i genitori.
Vito Cattaneo: Io do un po’ di colpa a loro, pur se non voglio scaricare su di loro le responsabilità delle mie azioni. Dico solo che qualcosa nella nostra relazione non ha funzionato.
Studentessa: Mio padre ha avuto un’infanzia difficile, ma perché farla pesare a me?
Vito Cattaneo: Vero! Avrà delle difficoltà, ma continuare a non prendersi le proprie responsabilità, non è giusto, produce altro male.
Studentessa: Non ha senso che mi tratti male per chiedermi poi scusa e ritrattarmi un’altra volta male.
Vito Cattaneo: E’ difficile accettare un consiglio da un figlio.
Giulia Marchioro: Quando sono arrivata al gruppo cercavo di conoscere i detenuti per quello che sono, per le loro qualità, poi a casa mi passava la voglia di stare con mia mamma. Mi sono accorta che l’atteggiamento che ho verso i detenuti è in contrasto con l’atteggiamento che ho verso mia madre che ha sbagliato. Ora desidero cercare di trarre il meglio da lei, pur se non so bene come. Stare più insieme di prima è il mio progetto.
Patrizia Canavesi: Vorrei chiudere con un progetto. Le soluzioni non devono dipendere dagli altri, ma da te. La soluzione deve essere semplice e replicabile. Io, insegnante, sperimento l’impotenza, cosa faccio? Non posso pretendere che gli alunni cambino, con alcuni sarà possibile un dialogo, con altri occorrerà aspettare. E così per gli alunni. Cerchiamo le persone con cui potere costruire e chiediamoci sempre cosa possiamo fare noi per migliorare la situazione.
Aparo: A Ilenia, che di carcere ha esperienza, chiedo: com’è possibile che una persona disattenta tanto da potere commettere reati possa prestare attenzione a degli adolescenti?
Ilenia Leotta: E’ importante riflettere sugli errori, ma se poi li compi nuovamente, allora hai la mente malata. I genitori prima di sbagliare devono pensarci. Prima di fare una famiglia devono pensarci, perché devono dare un futuro ai figli. Devono mettere giudizio.
Aparo: Hai qualcosa da chiedere a tuo padre in tal senso?
Ilenia Leotta: Non gli chiedo niente, lo deve sapere lui.
Giuseppe Liuni: Al gruppo ci siamo messi in gioco, riconosciamo i nostri problemi, riconosciamo i nostri sbagli con l’aiuto degli altri.
Francesco Leotta: Sono cambiato quando ho cominciato ad usare la riflessione. I miei compagni mi hanno aiutato a imparare il Teorema di Pitagora e mi sono appassionato. Ora ho la passione anche per le responsabilità e per la cura dei miei figli. Poi, su invito del dott. Aparo, dice la formula del teorema di Pitagora. Dopo l’impresa condotta a buon fine, gli studenti applaudono.
Livia Nascimben: Molti degli interventi fatti suggeriscono che per crescere e avere fiducia di sperimentarsi occorre avere vicino un adulto che fa il tifo per te, che desidera che tu ce la metta tutta. Attraverso un’alleanza è possibile vivere l’esperienza vitale di trasformare la realtà con i tuoi sforzi e ciò ti permette di pensare ad un futuro possibile.
Patrizia Canavesi invita tutti i partecipanti a scrivere cosa hanno guadagnato dall’incontro.