Il sipario

Vito Cattaneo

13-09-2006  

Buona notte amore, buona notte principessina.

E’ già tutto pronto, studiato e calcolato, ma lo stesso m’addormento con lo stomaco legato dall’ansia. Ogni volta è così, questa è l’ennesima, ma a certe cose non ci si fa l’abitudine.

Nella mia mente vedo il palcoscenico, le immagini della scena scorrono veloci e lente, nel tentativo di perfezionarne l’interpretazione. Ipocrisia ed egoismo mettono in ombra le sensazioni e le emozioni del pubblico.

Mi sveglio, e come se dovessi presentarmi a un colloquio di lavoro, mi preparo. Lo stomaco è sempre infastidito e a mala pena scende il caffé.

Ciao amore, ciao principessina, ci vediamo stasera.

Salgo in auto, faccio il numero e chiamo la compagnia.

La recita è iniziata, tra poco si entra in scena.

Per la strada mi fermo al solito posto, prendo gli attrezzi per gli effetti speciali; noncurante dell’impatto che fanno, li tratto come giocattoli.

Incontrati gli altri, ognuno cosciente del proprio ruolo, si parte in direzione del teatro. Lungo il tragitto, noi protagonisti e fautori delle nostre regole, a discapito di quelle civili e sociali, facciamo nostro il primo mezzo di trasporto utile al nostro scopo.

Il sipario si apre, la tensione è al massimo, nessuno del pubblico c’incoraggia con un applauso, lo show non è gradito.

Con tacita violenza obblighiamo i presenti ad assistere allo spettacolo privo d’inviti, senza limiti d’età.

L’ultimo atto si è concluso, lasciamo il palco ma il teatro rimane aperto. Dentro l’aria è impregnata di paura, di odio, di tremori e pianti.

Nessuno ha subito conseguenze fisiche; questo è sufficiente a non destare sensi di colpa.

Soddisfatti per la riuscita, ognuno torna a casa propria. Le maschere, i costumi, l’attrezzatura e il copione tornano nel loro angolo tenebroso, nell’attesa della prossima innaturale funzione per cui verranno cinicamente adoperati.

Lo stomaco è libero, la tensione scivola via, riprendo a interpretare la mia vita quotidiana, anche se, a causa di quel secondo ruolo, non riesco ad essere libero.

Uscire dai canoni naturali non può rendere veramente felici le persone; interpretare un ruolo diverso da quello dei propri desideri profondi non può che portare ad uno stato di frustrazione e ad una consapevolezza del fallimento che c’è in corso.

Oggi, grazie all’insegnamento d’attori capaci di riconoscere il mio vero ruolo, comincio a distinguere il copione al quale ero inchiodato e per il quale la recita rimaneva sempre aperta da quello che vado costruendomi giorno per giorno.

Mi guardo dentro con rigida coerenza; tutto è spaventosamente reale, come è reale il senso di felicità che questo mio ruolo mi procura.

Adesso il mio spettacolo è gradito e applaudito da un pubblico che lo accetta. Adesso mi sento libero.