L'isola di Mitilini |
Granit Gjermeni | 03-07-2010 |
Sono quasi tre settimane che sto cercando di scrivere, ma anche se ho tante cose da raccontare non so da dove cominciare. Sono un po’ confuso, ma forse scrivendo riuscirò a vedere meglio nella mia confusione. Non mi sono mai raccontato con nessuno, non mi sono mai confessato, non ho mai permesso a nessuno di entrare nei miei problemi e nelle mie delusioni. Fino a ieri cercavo consolazione solo nel silenzio, ma da quando ho cominciato a scrivere per il gruppo, in ogni scritto ho messo un pezzettino della mia vita, anche se di nascosto. Questo mi fa stare bene, mi piace quello che sto facendo, specialmente quando viene apprezzato.
Volevo scrivere sul lavoro che abbiamo fatto in questi ultimi tempi e ho cominciato a riflettere su Sisifo, sulle sue scelte e sulle conseguenze delle sue scelte… ma, inevitabilmente, ho cominciato a riflettere sulle mie scelte, sulle scelte che ho fatto partendo da quando tutto ebbe inizio. Tutto è cominciato quando avevo 14 anni e per qualche ragione mi sono convinto che il mio paese non avesse più niente da offrirmi. Non so cosa cercavo, forse l’avventura. Forse sono stati i libri che leggevo, con le storie di pirati che attraversavano mari ed esploravano quei paradisi esotici, quelle isole che a volte te le descrivono così bene da toglierti il fiato.
Non so perché mi ero convinto di questo, ma evidentemente mi sbagliavo. Il mio desiderio era di andare via, conoscere e prendere ciò che il mondo mi offriva e un giorno tornare a casa come un uomo che ha vinto le sue sfide. Così sono partito senza dire niente a nessuno e senza sapere dove andavo. Mi ricordo la preoccupazione dei miei genitori quando tornavo a casa dopo giorni di assenza… non sapevano più che fare, come comportarsi e facevano di tutto per convincermi a non andare via. Sì, perché quella non era stata l’unica volta, dopo tanti tentativi falliti solo la settima è stata la volta buona.
Sono riuscito ad andare in Grecia, in un’isola che si chiama Mitilini, dalla quale si vedono le coste della Turchia, non potevo andare oltre e il mio viaggio si è fermato lì per un po’ di tempo. Dopo qualche mese sono riuscito a mettermi in contatto con la mia famiglia e a dirgli dove stavo, ma nel frattempo mi trovavo ad affrontare una realtà molto diversa da come me la ero immaginata e i miei sogni piano piano si stavano per spegnere. Dovevo cavarmela da solo, all’inizio avevo trovato lavoro in un cantiere, dove facevo un po’ di tutto, dalle pulizie a scaricare e preparare i materiali per poi portarli ai muratori. Era un lavoro pesante e la paga era una miseria, ma avevo bisogno.
Un giorno, uno di quei giorni in cui nei cantieri c’è da fare di tutto e di più, era arrivato anche un camion di cemento da scaricare. Da una parte preparavo e portavo il materiale ai muratori al quarto piano, dall’altra c’era quel Greco che gridava di fare veloce a scaricare perché il camion doveva andare via. Non capivo, ma cosa si aspettavano da me, cosa pretendevano? Avevo addosso così tanta rabbia che mi uscivano le lacrime dagli occhi… ma non avevo nessuna intenzione di mollare e andavo avanti…
All’improvviso alzai lo sguardo verso l’entrata del cantiere e vidi un uomo che mi guardava, era mio padre, era lì da un po’. Gli andai incontro e ci abbracciammo, per qualche momento le emozioni hanno avuto la meglio su di noi. Mio padre è stato sempre molto importante per me, era un punto di riferimento, un grande uomo conosciuto e rispettato da tutti, sono sempre stato orgoglioso di essere suo figlio, non avrei mai voluto far niente che potesse far star male lui e la mia famiglia, avevo tutt’altre intenzioni, ma ormai, senza rendermi conto, il mio egoismo aveva già sconvolto la vita delle persone che amavo di più.
Lo vidi piangere dalla felicità per avermi trovato… ero partito da casa con pochi soldi in tasca, avevo attraversato il confine con la Grecia, dove in quei tempi i soldati ci sparavano per uccidere perché eravamo considerati disertori che avevano tradito il loro paese. Avevo camminato cinque giorni e cinque notti nei boschi, finché ero salito su un treno che aveva attraversato tutta la Grecia. Poi, dopo aver preso un traghetto di nascosto perché non avevo i soldi per il biglietto e dopo 13 ore di viaggio, sono arrivato in quell’isola dove ho smesso di sognare. In quel momento, nel viso di mio padre, insieme alla felicità ho visto anche la paura, il dolore, la delusione. Credeva di aver fallito nel suo ruolo di padre perché non era riuscito ad assicurarmi un futuro, si sentiva in colpa per tutto ciò che suo figlio stava passando, ma soffrivo anche io a vederlo così amareggiato per causa mia.
Mi chiese se volevo tornare a casa con lui ma non lo pretese, forse perché sentiva di non averne più il diritto… dopotutto ero diventato un piccolo uomo che aveva scelto la sua strada. In quel momento mi sono sentito gratificato perché mi sembrava di essermi guadagnato la fiducia e il rispetto di mio padre. Intesi che mi stava dando il suo consenso per la mia indipendenza, per la quale avevo rischiato così tanto e avevo messo anche lui nella condizione di rischiare per venirmi a cercare.
Ora rifletto sulle mie scelte e sulle conseguenze, posso dire che è cominciato tutto così, come un gioco. Dal desiderio di inseguire un sogno, senza rendermi conto, sono riuscito a portare nella vita delle persone che amavo di più angoscia e sofferenze. Come mai non mi sono reso conto prima, come mai sono stato così egoista da non prendere nemmeno in considerazione le conseguenze delle mie azioni? Ma questo è solo l’inizio delle domande che ho cominciato a farmi. E anche se sento che mi sto caricando sulle spalle un masso come Sisifo, so anche che è il momento di fare i conti con me stesso.