Il patto e la mia identità |
Roberto Cannavò |
05-09-2013 |
Dal momento in cui sono nato, mio padre ha stipulato un patto che purtroppo non ha mantenuto: essere Padre. Anch’io ho fatto la stessa cosa con le mie figlie.
Sono un ergastolano perché ho rispettato patti fatti con la criminalità organizzata, condividendo anche “regole e cultura” che per convenienza, fino a 10 anni fa, ritenevo giuste: avvertivo la necessità di sentirmi parte integrante di un gruppo di appartenenza.
La detenzione, che poi è stata la mia salvezza, mi ha dato la possibilità di dare un volto alla mia “identità”, responsabilizzandomi al patto offertomi dalla società e a quelli a cui voglio aderire.
Sono anche consapevole che non esiste un patto perfetto, però esiste un patto degno di rispetto ed è a questo che ho fatto una promessa da uomo, pur restando vigile alle mie fragilità.
Oggi penso di aver raggiunto un livello di consapevolezza che mi permette di indirizzarmi verso il rispetto delle regole e mi stimola a trovare, insieme ai miei compagni di viaggio, soluzioni costruttive laddove emergano carenze.
L’essere stato “identificato” dalla società mi ha permesso di presentarmi nuovamente alle mie figlie con l’impegno di condividere un patto stipulato da loro.
Patto che ha regole indiscutibili ed è orfano da eventuali giustificazioni