Patti traditi |
Antonio Iannetta |
21-09-2013 |
La discussione sui patti di sabato scorso al gruppo mi è rimasta aperta dentro. Parlare di sé innanzi agli altri è difficile, ancor più per uomini che hanno alle spalle vissuti di devianza.
La protervia, l'arroganza, la violenza e la sopraffazione sono le manifestazioni di malesseri profondi e fragilità. Comprendere questo è importante perché permette di dare un nuovo senso alle corazze, ai gusci, alle maschere che ci siamo creati mentendo a noi stessi e per negare le nostre paure.
A mio parere gettare sul tavolo degli incontri paure, fragilità, sogni infranti, desideri inappagati, può aiutare chi ascolta e chi narra e arricchire entrambi. Non è facile, debbono crearsi empatia, fiducia negli altri e la forza di ammettere pubblico quanto si sospetta in solitudine. Atto di coraggio, e non di viltà, è comprendere di aver violato e tradito dei patti. Spogliarci del nostro manto ipocrita è un dovere nei confronti di coloro che ci amano e della società. Riconoscere comportamenti scellerati pregressi e analizzarli è utile per allontanarsi definitivamente da un vissuto che non dovrebbe appartenerci e ripetersi mai più.
Suscitare riflessioni come sabato scorso, che a fine incontro portano alcuni membri del Gruppo ad ammettere il tradimento di patti, è la prova che il dialogo, il confronto e le analisi condivise portano gli uomini a revisioni. Ho cominciato ad abbandonare le mie certezze molti anni fa, ma sentire i miei compagni prendere coscienza che hanno tradito il patto coi figli significa che insieme possiamo percorrere un pezzo di strada.
Ripenso ai miei figli, a quanto sarebbe potuto essere e non è stato. Domenica scorsa, prima di fare rientro in carcere a seguito di un breve permesso, mi sono fermato su di una panchina. Ero solo, la prima volta senza nessun accompagnatore; seduto osservavo le coppie giovani coi bambini al seguito. Vederli trotterellare o gattonare alla scoperta del mondo era uno spettacolo di cui non conoscevo la bellezza. Li guardavo e ricordavo i bimbi che io avevo tradito. Rammentavo quando mia figlia giocava con il cane, un alano femmina di nome Laila. Ero seduto su una panchina, di domenica, a sessant'anni e qualche mese, attendevo di rientrare in carcere: avevo tradito i patti e dalle macerie, senza barare, cercavo di rimettere in gioco quanto rimaneva della mia esistenza.
Oggi cammino trascinando la valigia dei miei ricordi. Siamo legati indissolubilmente, solo sentendone il peso riesco a non compiere scelte azzardate; qualche volta la rabbia cerca di prendere il sopravvento, ma il peso nella valigia che mi trascino è lì, custode del presente e testimone di un tempo passato.
Sarebbe ridicolo uscire di strada dopo aver macinato chilometri di asprezze, sentieri fangosi e trascorso centinaia di notti insonni a rivisitare i fallimenti. Molta acqua è passata sotto il ponte della mia esistenza e solo oggi posso dire che rispettare le regole, tutte, non mi crea disagio, oggi comprendo che le regole sono patti che vanno rispettati anche se si ritengono ingiusti. Una vita trascorsa violando patti ci lascia alla legge del più forte, o meglio, del più assente. Sento il dovere morale di raccontare la mia vicenda, forse a qualcuno potrà servire a evitare di credersi furbo, unico, migliore.