Penelope, la rabbia e la virù |
Nuccia Pessina |
03-07-2012 |
Alessandro Manzoni parlava del “guazzabuglio del cuore umano”. Io ho dentro la foresta tropicale. Le domande si affastellano fitte come tronchi e si diramano insinuanti e aggrovigliate come liane. Talvolta per procedere devo farmi strada col machete.
Mentre Odisseo compiva gesta eroiche, e il tempo non gli bastava per riposare, come agiva l'inerzia su Penelope?
Mentre Odisseo offriva le membra lustre d'olio e di sudore agli sguardi ammirati di commilitoni e nemici, dove si dirigevano gli sguardi di Penelope?
Mentre Odisseo accumulava incontri per “seguir virtute e canoscenza”, di quali suggestioni era preda la solitudine di Penelope?
Mentre Odisseo indulgeva alla seduzione di ammalianti sirene, saldamente trattenuto da funi robuste, quali funi trattenevano dall'indulgere alla seduzione Penelope?
Mentre Odisseo veniva depositato dai flutti sulla spiaggia, dove Nausicaa e le sue compagne dalle nivee braccia lo ritrovavano esausto e dormiente, a quali naufragi scampava Penelope?
Mentre Odisseo entrava e usciva da letti compiacenti, quale sfumatura dell'abbandono veniva vissuta nel talamo da Penelope?
Mentre Odisseo esprimeva la sua “virtus” sul campo di battaglia e nell'ordire inganni, come si esprimeva la virtù di Penelope?
Che cosa si disfaceva di notte, nella reggia solitaria, oltre alla tela?
Non sono sicura che l'attesa sia fonte di virtù.