Odisseo, le sirene e il vecchio

Granit Gjermeni

 

24-05-2012

C’era una volta in una terra lontana un bambino, un ragazzino al quale piaceva tanto sentire le storie e le favole che suo padre gli raccontava. Ogni sera s’infilava nel letto dei genitori e mentre il padre gli leggeva delle storie lui si addormentava. Il mattino dopo, come per miracolo, si svegliava nel suo letto, nella sua camera. Era bravo suo padre a raccontare le favole, ce n’era una che gli piaceva particolarmente, parlava di un coniglio, tipo Bugs Bunny, che riusciva sempre a fregare il contadino che, ossessionato e disperato, voleva prenderlo ad ogni costo e metterlo in padella.

Era la sua preferita, finché un giorno a casa sua ci furono degli ospiti, e suo padre che parlava con loro disse un nome “Odisseo”, e raccontò che avrebbe voluto dare quel nome al fratello maggiore del ragazzino, ma qualcuno non glielo aveva permesso. Incuriosito, la sera stessa il ragazzo chiese al padre che razza di nome era quello e chi e perché non gli aveva permesso di darlo a suo fratello.

Un re crudele e sanguinario governava allora quelle terre. Per questo suo padre gli disse che prima di rivelarglielo avrebbero dovuto fare un patto, dovevano mantenere il segreto su quella storia perché quel nome aveva una storia così grande che perfino il loro re ne aveva paura e, proprio per questo motivo, poteva essere molto pericoloso.

Dopo una promessa e una stretta di mano il padre cominciò a raccontargli le avventure dell’Odissea. Il ragazzo ne fu così attratto che non si addormentò più. Ogni sera ascoltava quelle storie finché il padre non gli diceva che era tardi e lo portava nel suo letto, dove lui continuava a sognare di vivere quei racconti, come l’eroe della sua favola.

Sognava il ragazzino, sognava e cresceva, finché un giorno, a 15 anni non ancora compiuti, partì per inseguire i suoi sogni. Si lasciò dietro la sua casa, la sua amata terra, la sua famiglia, gli amici e il suo primo grande amore, si lasciò dietro tutto ciò che gli stava più caro al mondo e il destino lo portò in Grecia, nella terra del suo eroe.

Il suo viaggio fu lungo e pericoloso, attraversò mari e monti, perse amici per strada, in mezzo ai boschi, amici con i quali aveva condiviso gli stessi sogni. Il nome del suo eroe portava sofferenza, e dolore diventò la destinazione di quel viaggio, ed era solo l’inizio.

“Odisseo”, com’è strano il destino! Sembrava proprio che suo padre avesse cercato di dare il nome giusto al figlio sbagliato, ma ora era il destino di quel nome che si stava appropriando di lui e nulla poteva fermare la sua forza, come nulla poteva spegnere il fuoco che si era acceso dentro a quel ragazzo. Così un giorno arrivò a Mitilene, nell’isola di Lesbo, quella di cui Omero parla nella sua Iliade, Lesbo attaccata da Achille, lo stesso che uccise Ettore e che con Agamennone e Odisseo distrusse Troia; e fu lì, in quell’isola che il ragazzo decise di fermarsi un po’ per vedere, conoscere, imparare, crescere e vivere, e fu lì che gli venne chiesto: “come ti chiami ragazzo?” E lui disse il suo nome, il suo vero nome.

Ma… “no, no ragazzo, è difficile il tuo nome, che ne pensi di Iorgos, Stauros, Vassilis.. Iorgos è un bel nome, ti piace? Ti chiameremo Iorgos, sai com’è, il tuo nome è strano, tu sei straniero, la gente ti guarda in modo strano, con sospetto, non si fidano, non ti accetteranno mai così. “Si”, disse il ragazzo con orgoglio, “ma non m’interessa, io un nome ce l’ho già e non lo cambio con nessun altro, e poi non ci avete nemmeno provato a pronunciarlo”.

Non capiva il ragazzo e si chiedeva perché quella gente volesse dargli un altro nome, perché cercavano di cambiarlo prima ancora di conoscerlo, perché volevano sottometterlo, per quale motivo credevano che se lui avesse preso uno dei loro nomi sarebbe diventato un uomo migliore e non peggiore?

Ma era tutto inutile, e lì il ragazzo capì che al mondo niente è come sembra e che per sopravvivere bisogna adattarsi e a volte scendere anche a compromessi mettendo da parte l’orgoglio. Ulisse prese Troia in una notte, con un cavallo di legno, cosa che con l’esercito e con la forza non era riuscito a fare in 10 anni; Ulisse ingannò Polifemo, dicendogli di chiamarsi “Nessuno”. Allora volete Iorgos? Pensò il ragazzo, e io ve lo darò, voi avrete ciò che desiderate e io mi prenderò quello che voglio, ma se un giorno avrete da dire, sapete cosa vi risponderò? Perché venite da me? Andate a chiederlo a Iorgos.

Il ragazzo passò sei lunghi anni a esplorare quelle terre, finché un giorno decise che era ora di partire. Dopo aver navigato per mari e viaggiato per terre lontane e sconosciute, mentre cercava la sua strada, si fermò in un altro paese, anch’esso con una grande storia che non aveva nulla da invidiare a quella dei Greci.

Sbarcò in quella terra pieno di sogni, speranze e desideri, finché anche lì gli chiesero: “come ti chiami ragazzo?” allora lui si fermò, pensò e disse il suo nome, non Iorgos, Stauros o chiunque fosse stato, ma il suo vero nome. “Come?!” gli risposero. “Si, ma.. è un po’ difficile il tuo nome, che ne pensi di Marco, ti piace Giovanni o Mario, è un bel nome vero?” E fu allora che il ragazzo prese il suo nome, lo mise in una scatoletta, lo chiuse bene e lo portò al sicuro, in posto segreto che solo lui conosceva, per tenerlo intatto e lontano dagli occhi indiscreti di un mondo indegno.

Tanti anni passarono e lui continuò il suo viaggio, finché un giorno sentì il magico canto delle sirene che chiamavano il suo nome. Sapeva il ragazzo che non doveva avvicinarsi, tante volte aveva sentito le storie su quei canti che lo mettevano in guardia, ma quelle voci cantavano il suo nome, quel nome che lui aveva desiderato ascoltare e che oramai credeva che avrebbe potuto sentirlo pronunciare solo in un posto, a casa sua, nella sua terra, dalla sua gente. Quel richiamo era così forte che rese il ragazzo debole per reagire, stanco per combattere o fuggire, e quella magia lo portò dritto nell’isola che non c’è, nel purgatorio delle anime perdute.

Ma a volte non tutto il male viene per nuocere. Non si sa mai cosa ci riserva il destino, perché fu proprio lì che un giorno incontrò un vecchio saggio che lo chiamò per nome. “Parlami di te” disse il vecchio “cosa ti ha portato fin qui, raccontami la tua storia”. Il ragazzo si fermò, si guardò intorno e prima di parlare cominciò a riflettere, a pensare. Ma quale storia, quella di Iorgos, Vassillis, Stauros, o quella di Marco, Giovanni o Mario? No, così non andava bene, il vecchio chiamò il suo nome, quello vero.

Qual era la sua storia? Allora il ragazzo prese e andò nel suo posto segreto, dove nascondeva la sua scatoletta, l’aprì, riprese il suo nome e cominciò a raccontare al vecchio la sua storia, in tutte le sue forme e i suoi passaggi, da quando era bambino e sognava l’Odissea.

E raccontando capì una cosa, chiunque lui fosse stato, tutti quei nomi, quelle storie, quelle avventure, alla fine facevano parte di una stessa e unica storia, la sua. Ed erano proprio tutte le storie insieme che cominciavano a dare un senso, un'identità al suo vero e unico nome, intorno al quale, un pezzo alla volta, cominciò a ricostruire il suo puzzle..

C’era una volta un ragazzo, ed ero proprio io. Il mio nome è Granit e la mia storia continua..