IL FARO - Riunione del 09-04-2004 |
Nessuno del gruppo oggi ha portato scritti; si prospetta un incontro poco ricco, ci guardiamo in faccia, ma nella stanza c’è silenzio; Sara viene invitata a prendere la parola, riferisce le sue riflessioni su alcuni fatti di cronaca dei giorni passati e la discussione decolla.
Sara
Ieri ho scritto in risposta alla comunicazione di Valeria, una scout che ha partecipato all’incontro in carcere di metà marzo. Valeria dice che è stato bello l’incontro coi detenuti, si sente più aperta e disponibile al dialogo, ma di fronte ad eventi tragici, come l’uccisione di un uomo sotto la finestra di casa sua, sente di volersi ritirare.
“Io di fronte all’uomo che ha massacrato una bambina di due anni e al padre che ha ucciso due figli per vendicarsi della moglie mi sento impotente, ho voglia di chiudermi in me stessa, di respingere ogni ricerca di comprensione. Al telegiornale ho visto quel padre disperato chiedere perdono, mi faceva pena, ma non ero nella condizione di riflettere e cercare. Forse un giorno potrò farlo, ma l’entità dei fatti motiva a restare indietro.”
Aparo
Un omicidio lascia disorientati, induce a ricorrere a stereotipi, a prendere le distanze dalle domande e a respingere quello che potrebbe destabilizzarci, come ad esempio, riconoscere qualche affinità fra i possibili sentimenti di chi uccide e i nostri; per riprendere ad interrogarsi occorrono condizioni adeguate. Come membri di una collettività, ogni evento ci riguarda, per questo ne parliamo.
Dopo l’intervento di Sara, Walter e Pietro, con determinazione, esprimono la propria opinione, seppur contrastante: Pietro afferma che se gli avessero toccato i figli personalmente, avrebbe cercato il loro omicida per ammazzarlo; Walter sostiene che è fondamentale cercare di capire le ragioni alla base di gesti simili o è inutile continuare a parlarne.
Da queste premesse, cerchiamo di individuare i diversi punti di vista sulla tragedia. Aparo invita ciascuno dei presenti a dare la propria opinione, recuperando non solo le nostre prime reazioni emotive, ma anche ciò che riterremmo una adeguata reazione della collettività. Lo scopo non è di dare delle risposte definitive o di assumersi la responsabilità che compete alle istituzioni, ma di riflettere su ciò che riguarda l’essere umano e verificare se e come i suoi contorni possano assumere tonalità differenti mano a mano che ci confrontiamo sul tema.
Walter
Se vivi in una cella con un energumeno di due metri che ti rompe le scatole dalla mattina alla sera, lo sopporti per qualche tempo, ma arriverà il giorno in cui gli darai tre coltellate e lo lascerai disteso a terra. Poi si dirà che lo hai ammazzato solo perché ti chiedeva il caffè, ma le ragioni sono altre e sono tante. L’uomo può arrivare ad uccidere; questo è un problema sociale da comprendere. Anche io sparerei in testa a chi osasse toccare un mio familiare, ma bisogna provare a capire perché le persone vanno fuori di testa.
Cosimo
Mi interessa il discorso sulle motivazioni che inducono a compiere gesti così crudeli, ma non so cosa pensare, forse dalla discussione potrò raccogliere qualche elemento. Rifiuto la pena di morte anche se è proprio quello che mi viene in mente in risposta a un evento come quelli di cui parliamo. Secondo me, bisognerebbe giudicare il reo secondo la legge, poi si verificherà se è recuperabile.
Fulvio
Penso che ci siano molti uomini malati in giro; gli uomini sono fatti per essere padri ma non tutti sono in grado di diventarlo, c’è chi ammazza i figli, chi li lascia soli, chi non dà loro da mangiare. Il mondo è difficile. Per me chi uccide un bambino merita di morire.
Pietro
Sono contro la pena di morte. Ma lascerei ai parenti delle vittime la possibilità di farsi giustizia da sé e decidere della sorte dell’omicida.
Aparo
Ma come potrebbe un singolo farsi giustizia? Cosa dovrebbe fare la società per garantirgli tale possibilità?
Fulvio
Se avessi tre figli e uno venisse ammazzato, vorrei essere tutelato dallo Stato, non sarebbe giusto farsi giustizia privatamente e finire in carcere lasciando gli altri due figli soli.
Alessandra
Con la pena di morte ci sarebbe una contraddizione tra ciò che lo Stato fa e i suoi obiettivi. Ma – se devo essere sincera - se fossi madre, prima o poi cercherei chi ha ucciso mio figlio. Penso che in chi uccide ci sia una patologia sottostante; ho dei dubbi sull’utilità del carcere; io farei tornare a vivere i condannati in società e farei affrontare loro la realtà in mezzo alla gente, là dove hanno fallito, proteggendo gli altri cittadini.
Sara
Voglio leggervi una frase di Barbara Bartocci, figlia di un gioielliere ucciso: “Io sono vittima della mano di un altro, non ho potuto fare altro che accettare. Chi commette un reato è vittima della sua coscienza, di se stesso, deve chiedersi perché. La vendetta non paga.”
E una di Luciano Paolucci, padre di un bambino violentato e ucciso: “Chiatti è entrato in aula, con i carabinieri accanto. Ci siamo scambiati un’occhiata con mia moglie, ci ha fatto pena. Che cosa gli fai, a uno così? Era solo contro tutti. Una vittima. Un burattino di se stesso.”
Aparo
Ricordo che Paolucci ha potuto dire ciò che ha detto dopo anni; prima le sue parole erano di odio, come si legge nell’intervista citata da Sara: “Io ero disposto a tutto. Avevo anche pensato: quando lo vedo per il processo mi avvento su di lui e lo ammazzo. Deve soffrire. Non mi importava niente di andare in galera.”
Segnalo poi un errore concettuale involontario: la domanda non è “cosa faresti tu se venisse ammazzato tuo figlio?”; in quel caso, comprensibilmente, l’emozione negativa sovrasterebbe ogni altra istanza. Le norme e i criteri per vivere insieme non vengono codificati dai genitori appena tornati dal funerale dei figli uccisi.
Lo spessore della cultura e di quello che l’umanità può sentire e pensare non si esaurisce nelle emozioni del momento. E’ un errore di prospettiva credere che siano vere e autentiche solo le nostre reazioni immediate; sono parte altrettanto autentica dell’essere umano anche le emozioni che maturano nel tempo, anche l’intelligenza che permette di guardare a distanza, anche la cultura che si sedimenta nei millenni.
Le leggi esistono e chi è in carcere spesso sente di subirle; con la discussione di oggi si vuole cercare di diventare proprietari del senso della legge. “La legge dice questo ma io farei quest’altro” corrisponde all’idea che la Legge ci sovrasti e non che sia al nostro servizio come uno strumento di cui cerchiamo di essere proprietari.
Walter
Tutti siamo potenziali assassini; a me interessa sapere come fa la testa ad arrivare al punto di ammazzare. Magari una persona per bene e un omicida sono nati nello stesso ospedale, hanno frequentato la stessa scuola e com’è che uno arriva ad ammazzare e l’altro no? Nella vita si fanno esperienze, si accumulano emozioni e stimoli, la testa si ingrandisce e quando ti occorre sfrutti quanto immagazzinato. Per arrivare al delitto devi avere fatto un percorso che ti ha danneggiato; e visto che ognuno fa esperienze e le fa con gli altri, una certa responsabilità deve averla anche chi è cresciuto con te. Cosa non è andato bene nel percorso? Mi interessa capirlo, vorrei scoprire un modello di vita per stare insieme agli altri senza danneggiarli, per trovare un sistema per crescere mio figlio. Ciò detto, sono d’accordo con la pena di morte!
Eric
Mi sento confuso, è un argomento vasto e difficile. Non sono in grado di dare alcun giudizio: questa è la decisione che prendo quando non so che fare. Non sento di avere le basi per formulare un giudizio né a livello di studio né a livello umano, sono in galera. A livello più generale, sono contro i giudizi. Ad esempio, sull’argomento tossicodipendenza dovrei comprendere chi non capisce il mio problema, ma non mi piace la rigidità con cui le persone si sentono in grado di esprimere giudizi.
Aparo
E se lei vivesse in una società in cui c’è bisogno della sua intelligenza di venticinquenne per decidere come comportarsi di fronte ad un omicida, cosa direbbe? Come contribuirebbe al discorso in una società dove lei avesse diritto di parola?
Eric
Non per forza devo prendere decisioni. Comunque sono contro la pena di morte.
Livia
Non avevo intenzione di parlare, ma dopo l’intervento di Eric mi sento in dovere di farlo. Spesso, di fronte alla difficoltà di scegliere cosa dire, resto zitta, delego la decisione agli altri, salvo non essere mai contenta di ciò che gli altri decidono. Così come me, Eric ha il dovere di dare la propria opinione. Premesso questo, secondo me, dovrebbe esserci una punizione ma che preveda un processo di comprensione.
Daniele
Sono contro la pena di morte perché lì c’è poca sofferenza; trovo sia più penoso pensare con coscienza a ciò che si è compiuto.
Natalino
Vorrei incontrare l’omicida e dirgli cose di cuore e di cervello, ma non so esattamente cosa.
Nicola
Non accetto la pena di morte, ma lascerei quella persone a marcire in galera.
Silvia
La pena di morte legalizza l’omicidio, e oltretutto serve a poco. Vorrei tenere l’omicida in un posto per studiarlo, lo utilizzerei per comprendere quanto ha fatto. Il mio compito è di prevenire. Gli darei una pena, ma anche una funzione, mi aiuterebbe ad ampliare le conoscenze sull’uomo.
Maurizio
I reati sono diversi, il male si manifesta in modo differente; di base c’è, secondo me, che chi infrange una regola deve avere la possibilità di essere reinserito; non deve “essere utilizzato” perché, come essere umano, ha pari dignità di tutti.
Daniele
Al momento del delitto non ha pari dignità, al limite la può riacquistare.
Felice
I miei figli sono quanto di più caro ho al mondo, se li uccidessero vorrei la pena di morte.
Livia
Se mio padre mi dicesse che sarebbe pronto ad uccidere chi mi facesse del male, io avrei paura, non so se riuscirei a fidarmi di lui. E poi probabilmente ci perderemmo ad eliminare chi uccide; prima di entrare a fare parte del gruppo pensavo che un delinquente meritasse la galera senza troppe storie, ora che mi sto arricchendo del confronto con chi ha commesso reati, ho cambiato opinione; forse avremmo da ricavare anche da chi uccide.
Nonostante l’incontro sia terminato mezz’ora dopo la chiusura ufficiale, non c’è stato abbastanza tempo perché tutti potessero esprimere il loro pensiero. Le affermazioni cui si è giunti non sono da considerarsi definitive, ma l’inizio di una riflessione che ciascuno può continuare con scritti o ulteriori rilanci nelle prossime riunioni.
L’incontro di oggi, infine, evoca alcune domande che il gruppo si è posto a proposito del rapporto fra regole e libertà:
• A quali criteri fa riferimento una regola?
• Quali obiettivi persegue una legge?
• Come si compone il concetto di libertà con quello di regole e strumenti?