Il nostro laboratorio |
Nuccia Pessina |
02-03-2014 |
Negli incontri del Gruppo della Trasgressione alcune tematiche e concetti si rincorrono, ritornano, si precisano, si completano.
Il patto è uno di questi. Si è parlato tanto di patto e dell'importanza che il patto ha nella vita individuale e sociale. Un patto stipulato in piena consapevolezza, con persone che si stimano e a cui si tiene, con un obiettivo che si condivide, è destinato a durare a lungo, ad essere efficace sia per l'obiettivo che permette di raggiungere sia per la relazione tra chi l'ha sottoscritto, che ne esce potenziata e arricchita. Dunque l'individuo è appagato, emotivamente più sicuro e determinato e la società ne risente positivamente.
Per la validità e la durata del patto è importante valutare il terreno di coltura nel quale si è prodotta la scelta dei contraenti. Il terreno di coltura, vale a dire l'umore, il contesto sociale, umano, culturale, è molto importante, anzi determinante in relazione alla sorte del patto e di chi lo sottoscrive.
Il terreno di coltura è determinante anche per quanto attiene al desiderio. In ogni bambino ci sono desideri, i bambini poi crescono e i desideri con loro, ma non sempre crescono in proporzione gli strumenti e le strategie per realizzarli. Quando si lavora per realizzare un desiderio è necessaria una consapevolezza composita: individuare l'azione necessaria, avere chiaro l'obiettivo cui l'azione tende non basta se non si ha chiaro qual è il terreno di coltura (lo stato d'animo) in cui il desiderio si è formato e nutrito. Spesso questa chiarezza manca e tale mancanza pregiudica il risultato.
La tematica del desiderio sempre inseguito ma non soddisfatto, del desiderio negato, trascina con sé il concetto di autorizzazione a sbagliare che l'uomo si concede come rivalsa, come compensazione per qualcosa che gli è stato negato o tolto. Tale autorizzazione a sbagliare si configura come un abuso, frutto della sensazione di impotenza, di ingiustizia subita e vissuto come una forma di risarcimento. L'amara scoperta è che l'abuso messo in atto come forma di risarcimento non serve a ottenere ciò che manca davvero, può solo dare un surrogato di ciò che davvero si voleva.
Il desiderio che spinge a sottoscrivere un patto, a compiere un'azione, a raggiungere un obiettivo non è sano quando è il risultato di un terreno di coltura ammorbato dal delirio di onnipotenza, che zittisce il conflitto. Bisogna dar voce al conflitto, perché il conflitto cui non si dà voce porta all'abuso, che dunque deriva non dalla rabbia ma dalla negazione della rabbia.
Intercettare desideri antichi aiuta a interpretare la problematicità del presente e della propria interiorità. Sicuramente si sta meglio con se stessi quando si vivono le emozioni giuste.
Progettare con qualcuno, lavorare insieme aiutandosi reciprocamente dà un piacere difficilmente eguagliabile in altro modo. Bisogna mettersi dunque nella condizione di provare questo piacere, perché provarlo rende più forti, più determinati nel perseguire le scelte, più saldi nell'assumersi le proprie responsabilità. E ciascuno è prima di tutto responsabile di se stesso.
Ogni uomo è un terreno che va messo a coltura e curato ed è sua responsabilità ciò che cresce e ciò che muore. Provare le emozioni giuste aiuta a vivere, a crescere, a sentirsi proiettati verso l'infinito, ad essere un po' meno finiti, un po' meno vicini alla morte. La morte è la fine che ci attende, ma non è il fine per cui vivere. Tuttavia per vivere efficacemente dobbiamo tenere presente questo nostro limite ultimo, non per temerlo ma per arrivarci degnamente. Provare le emozioni giuste aiuta.
Uno strumento tra i migliori per provare le giuste emozioni è la creatività. Essere creativi dà piacere, fa sentire bene. Per esserlo, però, non si può procedere in libertà. Bisogna sottostare a dei limiti che valorizzino il prodotto dei nostri sforzi. Il lavorare per la cooperativa, o meglio sarebbe dire per noi, procura le emozioni giuste, emozioni che magari non si erano mai vissute prima.
Ma le emozioni si imparano. Anche in seguito al furto, che pure è stata una brutta esperienza, le emozioni provate dai tre moschettieri sono state utili, perché si sono trovati a sperimentare le sensazioni della vittima invece che quelle del carnefice.
E qui si torna al senso di responsabilità, al patto che si è deciso di sottoscrivere, per dare corpo a bisogni e desideri concreti, maturati in un favorevole terreno di coltura.