Non ho fatto in tempo a dire…

 

Mario Potenza

05-04-2009
 

Gentilissimo Dott. Aparo,

sono Mario Potenza, le scrivo queste poche righe per salutare lei e il gruppo. Non mi è stato possibile farlo di persona perché sono partito per il carcere di Taranto all’improvviso. Anche se frequentavo il Gruppo da poco tempo, mi sentivo già come un membro di vecchia data.

Quel pomeriggio in cui mi è stato chiesto se nella mia vita c’era stato un eroe, ho risposto di sì e ho citato l’Uomo Tigre, l’eroe di quando ero ragazzino.

La verità però è un’altra. Il mio vero eroe era mio padre, fino al momento in cui è venuto a mancare. Io avevo appena 18 anni e a quel punto mi sono sentito perso come se mi fosse caduto il mondo addosso. Non potevo però morire anche io insieme a lui, perciò mi rimboccai le maniche e cercai di continuare il percorso che stavo facendo con il mio eroe. Ma lui non c’era più e davanti a me c’era una strada lunga da percorrere; così ad un certo punto dissi a me stesso che, invece di fare questa strada così lunga, avrei potuto al primo incrocio girare a destra, prendere la strada più corta e arrivare prima.

Questa strada più corta mi portò direttamente in carcere e così è cominciata la mia storia da detenuto. Sono certo che se avessi avuto il mio eroe avrei potuto fare il mio percorso insieme a lui fino al suo tramonto, per poi continuare da solo la strada già avviata con lui. Sono sicuro che qualcosa di quella strada dentro di me sarebbe restato, non sarei ricorso a  scorciatoie e a quest’ora non sarei neanche in carcere.

Io avrei voluto raccontare tutto questo quel lunedì agli alunni con cui abbiamo avuto l’incontro, ma siccome sono arrivato tardi dal settimo raggio insieme ai miei amici non ho avuto il tempo materiale di confidarmi con le persone del Gruppo. Ve l’ho voluto dire adesso perché questa cosa mi era rimasta dentro e mi è proprio dispiaciuto non riuscire a dirla.

A questo punto non aggiungo altro, saluto con un caloroso abbraccio voi tutti.

Mario Potenza