Il feudo del silenzio

Enzo Martino

18-03-2006  

Sono qui a interrogarmi sui miei silenzi interiori. Li chiamo demoni. Altri li chiamano fantasmi. Comunque si chiamino, sono sempre lì, a farmi compagnia. Ancora oggi non riesco a liberarmene completamente; forse anche perché si tratta di un feudo che mi fa comodo.

Comincio a pensare che a vivere senza i silenzi, senza demoni, si viva meglio. Ma per parlarne serve del coraggio, ed io, il coraggio di mettermi a nudo, non ce l’ho. Chi ha questo tipo di coraggio?

Parlare dei miei silenzi… se tolgo la patina invisibile che mi protegge, finisco per dare spazio ad altre persone, ma così mi sento compromesso, senza identità.

Senza identità, ma forse con la possibilità di respirare meglio. Adesso sento il bisogno di mandare giù delle grandi boccate d’aria, perché quei silenzi mi impediscono di respirare a pieni polmoni.

Chissà da dove vengono i miei demoni? Non so individuare dei ricordi concreti. D’altronde, i miei stessi silenzi cosa sono? Macigni senza concretezza.

Da piccolo quando sentivo che le cose non andavano bene, mi allontanavo dalla realtà, e mi creavo degli amici che in quel momento mi aiutavano a superare la paura. Il mondo intorno girava; come girasse non mi importava, io avevo con chi dialogare.

Dialogavo con loro, con i demoni, che mi facevano sentire forte, quando prendevo ceffoni, quando sentivo urlare, quando incontravo gli sguardi degli altri.

Sopportavo tutto, ma non le loro minacce. Di fronte ai loro rimproveri torvi il mondo perdeva d’interesse, mentre i silenzi dei miei demoni cominciavano a bombardarmi la testa.

Poi, chissà come, i miei demoni tornavano ad accettarmi e mi restituivano in un colpo solo il terreno che avevo perso rispetto agli altri, un nuovo feudo per altri silenzi.

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