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Vecchio gruppo della Trasgressione |
Alberto Spada |
Verbale 19-09-1998 |
Natoli legge l’articolo scritto da Matrella sul Gruppo della Trasgressione, che verrà pubblicato sul prossimo numero di Magazine 2.
Aparo, dopo aver commentato positivamente il lavoro di Matrella, chiarisce che l’episodio raccontato nella riunione precedente (il furto di un motorino effettuato a 16 anni per recarsi a trovare la sua ragazza e poi riportato sul posto dopo tre ore) era stato da lui riferito proprio per chiarire quanto un episodio può essere determinante per il futuro di una persona: “…se fossi stato sorpreso dalla polizia e se fossi incappato in un agente poco comprensivo, se avessi subito per quell’episodio qualcosa di più pesante di una bonaria lavata di capo, forse io stesso avrei rischiato di vivere quei sentimenti che portano alla contrapposizione violenta”.
Martel chiede cosa si deve fare per non tornare in carcere, una volta scontata la condanna. Osserva che uscendo dal carcere l’individuo si trova assalito da una serie di responsabilità, difficoltà e problemi che, facendogli quasi rimpiangere il periodo detentivo in cui erano assenti impegni e responsabilità, lo inducono a trasgredire nuovamente e quindi a farlo rientrare in carcere.
Spada fa presente che vorrebbe riprendere e approfondire quanto dichiarato da Stefanini nella riunione precedente, relativamente alla presenza di una “società alternativa” nella quale le regole risultano ribaltate e nella quale anche gli ipotetici “tradimenti” potrebbero avere diverso contenuto.
Scravaglieri si associa alla richiesta.
Aparo prova a rispondere alla domanda di Martel.
Le motivazioni che spingono a delinquere possono essere e sono diverse, sia di carattere sociale, economico… ma penso di dover limitare il mio intervento agli aspetti per i quali dovrei avere una certa competenza. 20 anni di incontri in carcere mi suggeriscono che elemento comune a gran parte dei detenuti che ho conosciuto è la “sensazione di tradimento”.
Anche quanto viene riferito da Matrella nel suo articolo conferma questa lettura (nel suo scritto, Matrella racconta del collegio in cui è stato mandato da piccolo, dove ricorda che chi pretendeva di insegnare le regole era il primo a non rispettarle). Non è necessario, perché un bambino si senta tradito, che debba esserci un reale “tradimento”; un bambino può sentire tradite le proprie attese nei confronti dei genitori o della vita in genere, anche se nessuno ha volontariamente programmato di tradirlo.
La ragione per cui un bambino si sente tradito può anche provenire dall’essere stato lasciato in casa dai nonni mentre i genitori vanno a cercar fortuna in Germania (ai Meridionali accadeva spesso negli anni ’60). Più avanti, il bambino capirà che non si trattava di abbandono o di tradimento, ma se le cose si mettono male, la sensazione di tradimento provata va a impregnare stabilmente la visione del proprio rapporto con gli altri, con le istituzioni, con le figure che le rappresentano; una sensazione di sfiducia segue l’individuo per tutta la sua vita e la pirateria verso il mondo diventa la via privilegiata per ripagarsi del torto subito.
Aparo inserisce poi il concetto di “coazione a ripetere”, cioè quel meccanismo mentale per cui si tende a ripetere sempre la stessa azione, nella speranza e nell’inutile attesa che le conseguenze si modifichino, mentre restano invece sempre le stesse.
Per dare una risposta a Martel, direi che l’unico modo per non tornare in galera per coloro che vivono questo meccanismo, è prendere coscienza e fare i conti con il “tradimento” originario. Le persone, nella loro visione soggettiva (al di là del fatto che sia giustificabile o meno e, spessissimo, senza nemmeno essere consapevoli del meccanismo) cercano un risarcimento “restituendo il tradimento subito a quelli che loro considerano gli eredi dei traditori antichi”; si innesca così un circolo vizioso che può essere interrotto solo attraverso una presa di coscienza del “primo tradimento” per poterlo mettere in discussione e quindi superarlo.
Stefanini interviene osservando che questo processo di reazioni a catena può divenire un vero e proprio comportamento autolesionistico. Di sé dice infatti che la reazione al “tradimento originario” lo pone in uno stato analogo a quello di una pentola a pressione della quale non riesce a trovare la valvola di sfogo. Riconosce un processo analogo a quello della “coazione a ripetere” appena illustrato da Aparo, in quanto gli sembra di attuare autolesionisticamente comportamenti trasgressivi nell’inutile attesa di una impossibile diversa soluzione.
Aparo concorda con la asserzione di Stefanini e ribadisce la pervasività del meccanismo: se alla base del reato c’è un inconsapevole tentativo di trovare risarcimento per un tradimento antico, l’autore del reato troverà sulla sua strada qualcuno su cui trasferire la colpa di chi a suo tempo lo aveva deluso. Possiamo anche aggiungere, che la realtà che viviamo, a questo proposito, ci facilita parecchio il compito, mettendoci a disposizione una grande quantità di attori cui affidare la parte già scritta sul nostro copione antico.