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VITTIME E COLPEVOLI - LUCIANO PAOLUCCI

«NON CHIEDETEMI PERCHÉ»

di EMILIA PATRUNO - foto di Fausto Tagliabue
    

   Famiglia Cristiana n.9 del 7-3-1999 - Home Page Il papà del piccolo Lorenzo, ucciso da Luigi Chiatti, ha incontrato i detenuti di San Vittore. Ha parlato di perdono, di fede, del suo cammino spirituale. E ha detto loro: «Ho molto da imparare da voi».

Succede una domenica a Milano, nel carcere della città dove si parla di clima da Far West e di "tolleranza zero", l’incontro tra una vittima, Luciano Paolucci, il papà di Lorenzo (la cui tragica storia è ricordata a pagina 62) e alcuni detenuti della sezione penale di San Vittore. Tutto questo mentre si parla molto di vittime e di colpevoli, ma sempre evidenziando la distanza tra loro, contrapponendo soltanto chi ha commesso il reato a chi l’ha subìto. Stavolta la proposta di un gruppo di detenuti (condotto da uno psicologo con un’esperienza ventennale, il dottor Angelo Aparo) segue una strada diversa: una "terza posizione" che consiste nel valutare e analizzare i meccanismi del crimine e di chi lo compie, ma attraverso l’incontro con chi ne ha subìto le conseguenze. Non per recriminare, ma per capire. Perché solo attraverso il dolore della vittima, forse, chi l’ha causato si può evolvere, e magari rendere possibile la ricucitura tra due sofferenze.

Luciano Paolucci.
Luciano Paolucci.

Il risultato del colloquio con Luciano Paolucci, una straordinaria lezione di umanità, di coraggio e di vita, nasce dalla visione di una puntata di Porta a porta, nella quale il papà di Lorenzo parlava dell’assassino di suo figlio come di un altro figlio, lo chiamava per nome, lo compativa. I detenuti erano stati molto colpiti, così come il dottor Aparo, che aveva incontrato Paolucci e sua moglie pochissimo tempo dopo il delitto. Del primo incontro, Aparo ricorda: «Paolucci aveva solo una cosa in testa: cercare di capire come fare perché Chiatti non fosse fatto passare per pazzo ed avere, così, l’impunità». I detenuti cominciano timidamente: «Abbiamo letto le sue dichiarazioni di quel periodo, piene di odio per Chiatti...».

Spiega Paolucci: «Io ero disposto a tutto. Avevo anche pensato: quando lo vedo per il processo mi avvento su di lui e lo ammazzo. Deve soffrire. Non mi importava niente di andare in galera. Poi Chiatti è entrato in aula, con i carabinieri accanto. Ci siamo scambiati un’occhiata con mia moglie, ci ha fatto pena. Che cosa gli fai, a uno così? Era solo contro tutti. Una vittima. Un burattino di sé stesso».

«Lei lo ha perdonato?», gli chiedono. Luciano Paolucci non ha solo perdonato: «Se dico che lo perdono, dico poco, non dico niente di esagerato. Intanto, sono sicuro che mio figlio l’ha perdonato subito, anche mentre stava morendo. Sicuramente. È lui stesso a dirmi, quando "ci parlo", con Lorenzo: "Papà, chi sanguinava di più era lui, perché la sua vita sanguinava". Quando dico queste cose mi prendono per matto. Non vorrei dire che perdono Luigi, io... A volte mi chiedo: com’è possibile perdonare? Ma che cosa sto dicendo? Invece lo perdono. Sono morti insieme, Lorenzo e Luigi Chiatti. E penso che sto scoprendo cos’è la vita, e perché vivo. Non chiedetemi perché lo faccio. Io cerco di lasciarmi andare a capire, a capire che anche Chiatti è una vittima».

I detenuti sono increduli, toccati. Chiedono se il perdono c’entra con la fede, se la fede ha reso più facili le cose: «Per me è difficile, non sono mica Dio. Oggi ho ritrovato un pezzo della mia spiritualità, di quello che siamo tutti. All’inizio, no. Ho provato a resistere. Eravamo due persone: io e me stesso. Ma anziché allontanarmi dall’umanità ho allargato l’orizzonte. Adesso ho una gran smania di dire al mondo le cose che ho capito, di fare tante cose buone. Dei delinquenti penso: hanno magari fatto del male per rubare solo un portafoglio. La vita va vissuta bene, è un bene. Se fai del male agli altri vuol dire che non hai rispetto per te stesso. Quando uno fa del male a un altro, fa sempre male almeno a due persone; se uno reagisce ai problemi, creando problemi... Se fosse stato amato, accettato, Luigi non sarebbe stato costretto a fare quello che ha fatto. Forse è vero che i fabbricatori di mostri sono fuori. Io lo so, perché, non ci crederete, ma c’è gente che è arrivata a dirmi delle cose di una cattiveria inimmaginabile. Se mi metto a pensare a Chiatti mi fa pena. Chiatti sta bene, è vivo, ma come potrà vivere? Con che cosa dentro? Chi è la vittima tra Luigi e Lorenzo? Tutti e due. E mi chiedo: non sarà la nostra indifferenza che crea i mostri?».

Luciano Paolucci con lo psicologo Angelo Aparo (primo a sinistra) e i detenuti della sezione penale di San Vittore.
Luciano Paolucci con lo psicologo Angelo Aparo (primo a sinistra)
e i detenuti della sezione penale di San Vittore.

«Serve il carcere? Serve punire duramente?», gli domandano. «Una persona che tieni in carcere, problemi non ne darà più. Ma butti via un pezzo del tuo mondo. Bisogna parlarci, con chi ha commesso il reato. Se no, ti sei messo un paraocchi, senza concludere assolutamente niente. Io sento che parlando con gli altri, si risolve... A tutti è data la possibilità di rifarsi. Dio ci tiene anche a Luigi Chiatti».

Come si sopravvive a un dolore del genere? «Ho smesso da tempo di chiedermi perché, mi chiedo invece che cosa posso fare per evitare questi fatti. Nelle nostre scelte dobbiamo trovare il modo per cambiare la realtà. Ci sono un sacco di cose da scoprire e da capire. Dio da ognuno di noi vuole qualcosa. Quello che faccio è vivere, è come se traducessi nel mondo quello che mi dice, da lassù, Lorenzo. Con Lorenzo riesco a fare tutto, mi dà una forza incredibile. Eh, ma bisognava conoscerlo, mio figlio: ha uno spirito che è una vita... Ho vinto anche un premio di poesia con uno scritto dedicato a lui. E da tre anni c’è l’associazione "La marcia degli angeli", che si occupa di prevenzione e di cura dei casi di vittime della pedofilia».

Chiedono i detenuti: «Ma lei, prima, com’era?». «Ah, ero molto, molto diverso. Mica uno stinco di santo: bestemmiavo; a volte, da ragazzo, avevo voglia di attaccar briga. Ero violento... Non l’ho fatto apposta, Dio si è presentato a me. Non ho studiato, però lo so, quando mi chiamano a dire qualcosa in pubblico o in trasmissioni televisive, riesco a tirare fuori qualcosa, anche se quando mi riguardo è come se guardassi un altro che parla. Del me di prima è rimasto pochissimo. L’unica preoccupazione che ho è questa: se Luigi esce, va a morire. Soffrirà come un cane. Io, per me, lo perdono. E se va in paradiso sono contento».

Si parla di bene e male. Dice Paolucci: «Tutte le persone hanno del buono dentro. A volte, lo so, si ha paura a comportarsi bene, perché si rischia di passare per stupidi. Chi ha passato questa esperienza del carcere è più valido ancora degli altri, ha più possibilità. Aiutate gli altri, dite loro come si fa il bene. Io ho da imparare da voi. Tutti abbiamo subìto dei torti. Basta voler vivere e non pensare più a quello che è stato il passato... È nel bagaglio per costruire il futuro. Voi avete più possibilità di fare il bene. Aiutate anche gli altri, dite loro come si fa il bene».

Molti tra i detenuti hanno gli occhi lucidi; alcuni parlano di come sono riusciti a non "farsi fuori" perché hanno pensato ai propri figli, alla famiglia. Finisce in un abbraccio, tra Paolucci e quel gruppo. Aggiunge che non si può fare niente, da soli: «Bisogna riflettere su tante cose, ma con la gente... Chiunque di voi può ottenere qualcosa, specie voi che parlate. La vita è la cosa più preziosa che abbiamo. Anche per Luigi Chiatti è così. Io ho capito che devo incontrare gli altri, la mia vita di adesso è a contatto con gli altri. Io sono riuscito a rimanere con la gente. Perché all’inizio, tutto ti dà fastidio. C’è sempre chi insinua, chi è indiscreto, in mezzo a tanti. Ma c’è anche quello che ti aiuta. Se ti isoli sei finito. Ma quando decidi di stare ancora nel mondo, capisci che non puoi essere l’eccezione. Il rancore, la voglia di vendetta, ti serve, è un bastone per sopravvivere, ma non ti fa andare lontano».

Ci si sente piccoli e un po’ meschini, a sentire parlare un uomo del genere. Racconta del suo quotidiano. Luciano Paolucci vive in un container, vicino a Foligno, perché tre anni fa c’è stato il terremoto. È preoccupato per l’estate, perché dice che, dentro, si arriva anche a 50 gradi. Si alza la mattina alle 5 per il suo lavoro di commerciante ambulante, lavora sodo, tutti i giorni tranne la domenica. Dopo che Lorenzo se n’è andato, è nata Elisa, tre anni fa, che fa compagnia a Stefano, che adesso ha 11 anni, fa karate ed è tifoso della Juve. Il problema più grande, adesso, è che un paio di settimane fa hanno rubato dal container il computer e la stampante dell’associazione e c’è da preparare la "Marcia degli angeli" per il 30 maggio prossimo. Una manifestazione bellissima, in cui tanti bambini, per mano agli adulti, fanno una camminata da Bastia Umbra a Santa Maria degli Angeli. Un percorso da seguire.

Emilia Patruno

 

Camminare per gli angeli

«L'ho Lorenzo Paolucci.ucciso perché lui riusciva ad avere amici e al computer era più bravo di me». Così si concludeva la meticolosa confessione di Luigi Chiatti, responsabile dell’uccisione di Lorenzo Paolucci, avvenuta il 31 luglio del ’93. Lorenzo, che all’epoca aveva 13 anni, era andato spontaneamente a casa di un giovane geometra che conosceva, a pochi metri da casa sua. Il geometra è Luigi Chiatti, 25 anni, che dieci mesi prima ha ucciso un altro bambino di nemmeno 5 anni, Simone Allegretti, e ha tenuto in scacco la polizia. Chiatti è un tipo chiuso, strano. Ha la collezione quasi completa di Topolino, i suoi strumenti da disegno, scrive, registra. Vive con i genitori, una coppia di benestanti, lui medico, lei maestra elementare, che l’hanno adottato tardi, a sei anni, perché la mamma naturale l’ha abbandonato appena nato, lo ha «lasciato cadere dalla finestra», come si esprime lui, in un convento di suore, ed è sparita.

Chiatti cresce ma ha paura della vita, delle ragazze, del confronto con i coetanei. Cresce e uccide due angeli, Simone e Lorenzo. A loro – e a tutti i bambini – è dedicata ogni anno, da tre anni, la "Marcia degli angeli", l’ultima domenica di maggio. Chi volesse può associarsi alla "Marcia degli angeli" - c/c bancario 2441/00 - Cassa di Risparmio di Firenze - Filiale di Bastia Umbra.

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