Mi capita di sbirciare, di tanto in tanto, tra le richieste di chiarimento, le osservazioni, i dubbi, le inquietudini degli studenti.
Mi colpiscono la curiosità, l'apertura, la voglia di capire, la lucidità.
Dalla lettura, mi nascono nuove domande, nuovi dubbi, nuove idee.
Alcune parole hanno avuto grande risonanza dentro di me.
Ho letto di perdono, di responsabilità, di cittadino confuso e arrabbiato, della mancanza di riconoscimento, della mancanza e basta, di micro e macro scelte e del senso di impotenza, di rei e di vittime.
Sono parole nelle quali mi imbatto quotidianamente, ascoltando le persone che, a vario titolo, chiedono di intraprendere un percorso di mediazione.
In questi giorni mi è capitato di ascoltare una donna sposata ad un uomo che la picchia da anni, che la picchiava anche quando lei era incinta del loro bambino, che l'ultima volta le ha procurato lesioni di una certa importanza, per tacere di quello che si intuiva e che non è stato detto.
Non ha voluto denunciare il suo aggressore.
Non solo perché è il padre dei suoi figli, ma soprattutto per una domanda di riconoscimento che sente di voler rivolgere a lui direttamente, senza passare per le istituzioni.
Nel suo racconto abbiamo sentito rabbia, sconcerto, senso di impotenza, angoscia, amore, dignità, capacità di autodeterminazione. Abbiamo sentito la sua paura di non poter perdonare. Abbiamo sentito la sua solitudine.
Tutto questo non è che una piccolissima parte del bagaglio che ogni vittima porta con sé.
Ma perché parlo tanto di vittime a chi sta seguendo un corso sulla devianza?
Il perché, in fondo, è abbastanza ovvio, ed è costituito dal fatto che ogni sistema "reato" è costituito da due parti: il reo e la sua vittima o, se preferite, la vittima e il suo reo.
Entrambi chiedono di essere riconosciuti, di essere ascoltati, entrambi devono poter esprimere la loro impotenza, entrambi sperimentano una mancanza, entrambi sono costretti a delle scelte.
Ad entrambi va però riconosciuta la possibilità di rendersi responsabili delle proprie scelte, se non di quelle passate, almeno di quelle future.
Ciò significa restituire loro dignità, fiducia e consapevolezza del proprio valore personale.
Parlo tanto di vittime perché faccio il mediatore e credo che la mediazione sia uno strumento indispensabile, non solo per intervenire nei conflitti, ma forse soprattutto per capire.
Ma cos'è la mediazione?
Possiamo definirla come "un processo, il più delle volte formale, grazie al quale una terza persona neutrale cerca, attraverso l'organizzazione di scambi tra le parti, di permettere ad esse di confrontare i propri punti di vista e di cercare con l'aiuto del mediatore una soluzione al conflitto che le oppone" (1).
Interessante definizione è anche quella proposta da Six, secondo il quale la mediazione sarebbe a) un'azione portata a termine da un terzo neutrale; b) un'azione portata a termine da persone o gruppi liberamente; c) un processo nel quale la decisione finale compete alle parti; d) un processo dal quale devono nascere o rinascere relazioni nuove, che devono servire a risanare le vecchie relazioni conflittuali (2).
Le caratteristiche fondamentali sono dunque così riassumibili:
Attraverso la mediazione, la soluzione del conflitto è il risultato di un processo dinamico e partecipativo tra vittima e reo, che restano i veri protagonisti della mediazione: "sostengo che non sono dunque le spiegazioni, le scuse o le interpretazioni ammorbidite del fatto accaduto fornite dal traditore o il comportamento più o meno conciliante della vittima l'elemento sul quale si gioca la riuscita della mediazione. Al contrario, compito dei mediatori sarà quello di aiutare i soggetti coinvolti
Ciò che la mediazione sottolinea e cerca di sostenere è il libero volere, la capacità di incidere, anche positivamente, sul proprio destino, la dignità della scelta personale, l'essere persona e non fantoccio nelle mani di forze esterne incontrollabili. La mediazione dà spazio e sottolinea la visione di un soggetto libero, capace di trarre da sé gli elementi positivi e compensatori della sofferenza arrecata, e di offrirli alla vittima e alla comunità. E ciò senza ovviamente dimenticare l'opportunità di mantenere in vita strumenti diversi, a sostegno di coloro la cui libertà d'azione sia stata, per i più svariati motivi, interamente o parzialmente compromessa.
Dal punto di vista della vittima, la mediazione costituisce l'unico spazio in cui essa può finalmente trovare un ruolo da protagonista all'interno del processo penale. Ha ragione Nils Christie, quando sostiene che "Per la vittima, il caso, se grave, è molto spesso un caso unico. E' una faccenda molto carica sul piano emotivo. Se il crimine viene percepito come grave, la vittima può provare sentimenti di rabbia e di dolore. Nessun tribunale, eccetto quello del villaggio, è adatto ad affrontare emozioni di questo genere. In gran parte le corti sono cupe e concentrate sul loro compito.
La vittima non è un personaggio importante del dramma; il caso è gestito da persone che affermano di rappresentare le parti. La freddezza può essere una ragione dell'insoddisfazione della vittima, come pure molte delle affermazioni sui "criminali che sfuggono con troppa facilità alla punizione per i loro misfatti". La richiesta di punizioni più dure può essere più un risultato della scarsa attenzione per il bisogno di sfogo emotivo da parte delle vittime che un desiderio di vendetta" (5).
La vittima ritrova invece nel processo di mediazione un riconoscimento che spesso le è negato nelle tradizionali sedi processuali. Ha inoltre la possibilità di rivestire un ruolo attivo nella vicenda che la riguarda, potendo esprimere di fronte al reo i suoi vissuti, le sue paure, le sue richieste. Ricava maggiore soddisfazione esprimendo se stessa nella ricerca di una eventuale soluzione, piuttosto che da una sentenza, seppur di condanna, pronunciata da un terzo cui ha delegato il compito di decidere al suo posto.
Garantendo una maggiore considerazione al ruolo della vittima, la mediazione determina anche un affievolimento del sentimento di insicurezza e delle richieste repressive e può comportare un'attenuazione dell'allarme sociale.
Da parte sua, il reo, a parte gli innegabili vantaggi processuali, trova nel confronto con la vittima la consapevolezza del dolore provocato e assume su di sé la responsabilità della propria azione: anch'egli parte attiva del processo, non viene da altri "nominato" colpevole di qualcosa, ma si riconosce - egli stesso - responsabile "verso" qualcuno ed entra attivamente e positivamente in relazione con un soggetto "in carne ed ossa", la vittima, piuttosto che assoggettarsi passivamente alla punizione inflitta.
La mediazione presenta poi indubbi vantaggi "educativi" perché il reo può imparare ad assumersi le proprie responsabilità e a divenire soggetto attivo: se da un lato contribuisce a far intendere il valore della sofferenza procurata, dall'altro gratifica in lui le parti migliori di sé e rafforza la sua autostima.
Come diceva Bouchard a proposito dell'ambito minorile: "Qui non si tratta di evitare il carcere (benché la riparazione indiretta possa anche, eventualmente e indirettamente, avere questo scopo) né si tratta di sottoporre al minore un'occasione occupazionale o di socializzazione (benché la riparazione possa anche soddisfare questo risultato). Il senso della riparazione indiretta va ritrovato nella connessione tra reato e attività riparatoria, nel passaggio emotivo e logico che intercorre tra atto illecito e azione positiva, tra il fare ciò che non andava fatto e ciò che può, secondo le capacità del minore, essere fatto" (7).
Allo stesso modo, il reo non corre più il pericolo di essere stigmatizzato ed etichettato, essendo sottratto al circuito penale, potendo evitare il giudizio e, con esso, la riprovazione giuridica e sociale. La partecipazione alla mediazione, l'offerta della prestazione riparativa, qualunque essa sia, l'impegno emotivo dispiegato contribuiscono alla diffusione di un'immagine diversa rispetto a quella tipicamente "delinquenziale", inducendo una diversa percezione del reo nella vittima, nella società, nel reo stesso, con benefiche ricadute, soprattutto in termini di prevenzione sociale.
In termini più generali, infine, la mediazione comporta l'eliminazione di qualsivoglia tratto "moralistico" dall'ambito del diritto penale e della sua applicazione, restituendo il conflitto alle parti e devolvendo ad esse il giudizio in merito a quanto accaduto. Potrebbe rappresentare un modello di giustizia più vicino ai cittadini e alle loro esigenze, più concreto e meno "calato dall'alto" (8).
---------------------