Il call center a San Vittore

Pino Cantatore

25-02-2005  

Mi chiamo Giuseppe Cantatore, sono detenuto nel carcere di San Vittore a Milano dal giugno 1993, condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo.

Durante questa carcerazione ho ripreso i miei studi informatici che avevo lasciato moltissimi anni fa; mi è stata data l’opportunità di farlo e l’ho presa al volo, come se non aspettassi altro. Inizialmente è stata una possibilità per non chiudermi in cella a corrodermi il cervello, ero detenuto nella sezione di massima sicurezza e non avevo alternative.

Il primo diploma come programmatore elettronico l’ho conseguito nel lontano ’74; la materia mi ha sempre affascinato e non mi è parso vero poter approfondire e allargare le mie conoscenze in questo specifico campo. Poi, durante questo percorso formativo - chiamiamolo così perché comunque è stata una vera e propria formazione professionale quella che ho seguito in carcere - ho avuto modo di conoscere persone: l’insegnante, i responsabili dei corsi, il Direttore di San Vittore Dott. Luigi Pagano, tutte persone che ancora oggi mi sono vicine con le  loro competenze, mi hanno dato e continuano a darmi segnali e conferme sulla giustezza del mio progetto, quello più importante: il mio futuro, la mia vita.

Inaspettatamente sul finire dell’anno 2000 sono uscito per pochi mesi (otto) e ho avuto la fortuna di mettere a frutto la mia professionalità che nel frattempo avevo acquisito nel campo informatico. Potere insegnare la materia a degli studenti universitari mi ha dato un enorme appagamento, queste soddisfazioni mi hanno dato, tra l’altro, sicurezza e determinazione nella scelta di tornarmene in carcere con le mie gambe quando il procedimento che avevo in corso è passato in giudicato, giudicato anche pesantemente, con la pena all’ergastolo.

Avevo praticamente lasciato mia figlia a dieci mesi di età e l’avevo ritrovata in quel periodo che aveva nove anni, ora ne ha quasi tredici. Vedermi lavorare (qualche volta è venuta insieme a me nelle aziende con le quali collaboravo) è stato utilissimo per il nostro rapporto ma soprattutto per lei: quante volte l’ho sentita dire: “il mio papà lavora con i computer” con tono soddisfatto.

Oggi sono responsabile del progetto INFO12, realtà nel carcere di San Vittore da quasi diciotto mesi, per conto della Cooperativa OUT&SIDER che gestisce il contratto con Telecom Italia; alcune mie esperienze pregresse nel campo dei call center hanno fatto sì che venissi scelto per questa mansione.

Durante questo periodo ho avuto modo di ricevere la fiducia dell’azienda che ha incaricato anche me per la formazione del nuovo personale in sinergia con addetti alla formazione Telecom Italia, con i quali ho un rapporto splendido. Questo mi ha particolarmente gratificato, a maggior ragione se si considera l’importanza che ha la formazione in questo esclusivo lavoro: la fidelizzazione del cliente INFO12 è basata quasi esclusivamente sulla professionalità dell’operatore che gli rende il servizio; per l’azienda è dunque molto importante la formazione di chi risponde al telefono.

Attualmente, l’attività del Call Center di San Vittore è così organizzata:

Sono in corso selezioni di idoneità per accedere alla formazione di 10 persone al maschile e almeno 5 al femminile.

I due call center complessivamente gestiscono mensilmente circa 190.000 chiamate del servizio Info12 con livelli di qualità sia per  tempi medi di conversazione che nella gestione della chiamata.

Gli operatori che hanno lavorato in questa attività con un turnover, conseguente a scarcerazioni o trasferimenti per motivi di giustizia, sono stati fino ad oggi 68 tra maschile e femminile, tutti assunti con contratto di lavoro dalla cooperativa Out&Sider.

Spero che questa attività (sicuramente all’avanguardia, sia per le tecnologie impegnate, sia per il particolare sviluppo che questa figura professionale ha nel mondo del lavoro data la sempre crescente richiesta di operatori di telelavoro) possa fare da apripista per iniziative analoghe in altri istituti penitenziari. In particolare, la cassa di risonanza massmediale che c’è stata su questa iniziativa, prima in Europa, ma credo nel mondo, ha suscitato particolari interessi da parte di alcune aziende del settore.

Con la cooperativa Out&Sider collaboro anche ad un nuovo piano di lavoro: si stanno approntando delle postazioni all’esterno per un progetto pilota con una compagnia di assicurazioni. Se questa iniziativa dovesse trovare riscontro, la si potrà estendere ad altre postazioni esterne.

Dare modo alle persone detenute di uscire dalla cella è una occasione importante, farlo con qualsiasi tipo di attività socializzante evita continui pensieri negativi a chi si trova in carcere. Poi bisogna però proseguire, l’attività lavorativa è uno strumento sicuramente valido, soprattutto se l’attività stessa è un vero e proprio impegno, con le regole, i tempi, la tecnologia, la professionalità, la responsabilità che è richiesta dal mondo del lavoro nella società civile.

Nel recupero e reinserimento alla vita sociale è fondamentale proprio quel momento nel quale il detenuto esce dal carcere: punto critico, dove si ripresentano occasioni di compromessi e devianze causate dalla necessità, dove nella maggior parte dei casi si annulla tutto l’investimento di energie e di risorse messo a disposizione nell’istituto, esperienza questa maturata personalmente.

Quindi, se quanto ho fatto sino ad ora, oltre a soddisfare me e la mia famiglia che stavo perdendo a causa della mia vita fuori dalle regole, può dare anche apporto e supporto ad altri, non posso che esserne pienamente contento.