Il castello di sabbia

Ivano Longo

15-03-2004  

Era un’estate di tanti anni fa, io ancora piccolo mi divertivo a costruire sul bagnasciuga castelli di sabbia. A dire la verità, non ero molto bravo, più che castelli costruivo montagne di sabbia, e ognuna di queste montagne disordinate aveva il suo bel fossato, con il suo ponticello costruito con i bastoncini dei ghiaccioli.

Un fossato strano il mio, pensavo, perché più acqua io ci mettevo dentro, più lui se ne beveva. Continuavo a versare l’acqua del mare nel fossato, mi alzavo, arrivavo fino alla riva, a volte correndo per riempire il secchiello che puntualmente svuotavo all’interno del fossato, ma non facevo in tempo a raggiungerlo, che questi si era già bevuto tutta la mia acqua precedentemente versata.

Io arrabbiato ci riprovavo, e non capivo; il tempo che impiegavo per correre fino alla riva e riempire un altro secchiello non era abbastanza breve, e l’acqua non era mai sufficiente per riempire il fossato. In pochi secondi quel buco si beveva tutta la mia acqua, eppure quella situazione aveva qualcosa di magico, d’attraente. Com’era possibile che quel fossato avesse così tanta sete? Guardavo il mare e pensavo: “in pratica anche il mare è un grande fossato, anzi è molto più grande del mio, e allora perché il mio non riesco a riempirlo?"

Perché anche se mangio di tutto non riesco a riempire il vuoto che sento dentro? E perché quando mi sono rimpinzato faccio di tutto per espellere quello che poco prima mi aveva riempito?

Era un sottile gioco malvagio quello di ostinarmi a volere riempire il mio fossato, sapendo che non ci sarei mai riuscito, sapendo che in fondo non volevo riempirlo il mio fossato. Non volevo riempirlo, non volevo accorgermi che potevo stare bene, che era mio diritto stare bene, che avevo il desiderio di star bene e la paura di riuscirci, come se qualcuno mi avesse detto che non lo meritavo.