DOMANDA: Se lo scopo dell'etica per Aristotele è la felicità intesa come felicità individuale, in che nesso sta la responsabilità civile del cittadino di fronte alla società e, in genere, agli altri con l'ideale etico della felicità, visto che talvolta ci si trova a dover sacrificare la propria felicità al bene comune?
RICOEUR: Non bisogna mai dimenticare che per Aristotele c'è tra etica e politica un nesso assai stretto, ma per coglierlo dobbiamo tornare al concetto di azione, di prassi, che è il centro mobile di tutto il suo pensiero. L'azione vera è quella che ha luogo in pubblico, nell'agorà, nella discussione pubblica per la gestione della città. C'è un testo, proprio all'inizio dell'Etica nicomachea, in cui dice addirittura che l'etica è una parte della politica, perché la politica, per usare il linguaggio moderno di Hannah Arendt, è lo spazio pubblico di manifestazione delle azioni umane. Di conseguenza è per astrazione che certe virtù si possono considerare appartenenti, come diremmo oggi, alla vita privata.
Per un greco, a cui quell'opera era destinata, non c'era la separazione tra vita pubblica e vita privata, che è un prodotto dell'individualismo moderno. L'uomo greco, l'uomo cui si rivolge Aristotele, è, integralmente, un cittadino. Non esiste per lui la nostra opposizione di privato e di pubblico. Ne abbiamo una traccia nelle virtù stesse: parecchie virtù sono pubbliche e la più importante è la giustizia, di cui si parla nel quinto libro, poiché la giustizia consiste nel lottare contro gli estremi del voler avere troppo in termini di profitti e nel voler avere meno in termini di oneri, di oneri fiscali per esempio. Il giusto mezzo è la legge che lo incarna, la legge della città, che distribuisce i profitti, gli onori, dunque i bene comuni. La linea di demarcazione tra etica e politica è estremamente flessibile. Siamo noi moderni che abbiamo fatto della morale un affare privato e della politica un affare pubblico regolato da criteri diversi.