Per me la sfida più forte è la vita, ho iniziato a sfidarla quando avevo l'età di 11 anni, quando mia madre scoprì la mia omosessualità, bastò questo per buttarmi fuori di casa, oggi ho 26 anni e da quel giorno non sono più tornato.
Da lì è iniziata la mia lunga sfida, ho vissuto sulla strada e ho sfidato la fame, la mia unica paura era quella di non farcela, ma non mi è mai mancato il coraggio, sono sempre stato un ragazzo forte senza mai lasciarmi abbattere, il mio unico obbiettivo era quello di sfidare la vita e la morte, più viaggiavo e più soffrivo e più imparavo.
Così la sfida diventava sempre più dura, ma non mi sono mai scoraggiato. Sarebbe stato molto facile non sfidare più il dolore, la sofferenza della vita, basterebbe prendere una dose di veleno ma sono sempre stato dell'opinione che l'uomo che si picchia è solo un codardo.
Ero sempre attento a non cadere nel muro della droga, la maggior parte dei ragazzi di strada facevano uso di stupefacenti. Mi dissero che la usavano per dimenticare la loro sofferenza, ma io sono sempre stato contrario perché sapevo che una volta caduto nella trappola della droga, poi la sfida per uscirne sarebbe stata più dura e più difficile.
Per poco ho vissuto nella strada, dopo ho iniziato a fare tanti tipi di lavoro, domestico, baby sitter, a volte guadagnavo qualche soldino, a volte lavoravo soltanto per un piatto da mangiare e un alloggio. Questo lavoro l'ho fatto fino all'età di 18 anni, dopo mi sono stancato di essere schiavo di quel miserabile lavoro, lì ho deciso di prostituirmi.
Mi sono prostituito fino all'età di 23 anni, ne ho sofferto di tutti i colori, mi sono reso conto che essere schiavo della prostituzione, era peggio di essere schiavo di un misero lavoro.
Sulla strada ho conosciuto i miei sfruttatori che mi hanno portato in Italia per prostituirmi, ma la vita quì era molto più difficile, ero costretto a pagare 100 mila lire alla notte per lavorare sulla strada, e quando loro bevevano diventavano cattivi, mi picchiavano e mi rubavano tutti i miei soldi.
Un giorno mi sono stancato, uno di loro l'ho picchiato e l'ho bruciato con la benzina, sono stato beccato in flagranza, e per fortuna la vittima non è morta; all'età di 23 anni ho iniziato una delle sfide più dure della mia vita; il carcere.
All'inizio volevo suicidarmi, non sopportavo l'idea di essere in carcere e gli sfruttatori rimanevano fuori, continuando a sfruttare, come se niente fosse successo. Ero disperato, non c'era un altro pensiero nella mia testa se non quello di suicidarmi, per la prima volta ho tentato, per fortuna la corda si era rotta, mi hanno portato in un ospedale psichiatrico, dormivo legato piedi e mani, e non capivo più niente, ero sempre sotto terapia. Dopo qualche mese mi hanno portato un'altra volta in carcere.
Dopo qualche settimana conobbi un detenuto che già aveva scontato vent'anni di carcere, lui mi fece una proposta, se io volevo scrivere la mia biografia, il giorno dopo mi portò carta e penna, e per quasi un anno ho tenuto la mia testa impegnata senza pensare al suicidio, quando abbiamo finito di scrivere il libro, la mia testa è diventata vuota e piena.
Vuota perchè non avevo più niente da fare, non potevo frequentare la scuola, non avevo diritto a nessun corso scolastico, non c'era un assistente sociale, la messa si doveva ascoltare dentro la cella, insomma ero in isolamento totale, avevo soltanto due scelte, quella di stare in cella, o quella di andare all'aria in una gabbia di sette metri per due.
La mia testa era sempre piena verso il pensiero del suicidio, un'altra volta quel detenuto che abbiamo scritto la storia insieme è intervenuto, mi ha promesso che avrebbe parlato con il direttore, per lasciarmi lavorare come scopino della sezione, non è stata facile la sua battaglia, ma dopo poche settimane finalmente una risposta positiva, sono stato il primo scopino gay di quel carcere, ho lavorato per mesi, ma la mia testa era sempre impegnata al suicidio, non volevo soltanto lavorare volevo studiare, frequentare un passeggio normale dove si poteva giocare a pallone, fare una corsa, ma non era possibile.
Tutto perchè la natura mi ha fatto diverso dagli altri, che poi la colpa non è della mia diversità, ma di una società ostile, ho deciso di provare per l'ultima volta il suicidio.
Mi hanno portato un'altra volta all'ospedale psichiatrico, sono rimasto lì per 15 giorni, dopo mi hanno trasferito quì al carcere di San Vittore, dove sono detenuto da due anni e un mese.
Nella prima settimana mi sono iscritto a diversi corsi, ho imparato a scrivere e leggere, insomma ho ottenuto i miei bei diplomi, tentavo di tenere sempre la testa impegnata, avevo paura che tornassero i pensieri del suicidio, ma poi ho scoperto che i pensieri che mi stimolavano al suicidio, era il modo in cui ero trattato con indifferenza e disprezzo.
Oggi quì sto sfidando una vita molto diversa dalla precedente, a parte la sofferenza e certe regole che debbono essere rispettate, oggi sfido con un obbiettivo che è quello di fare una vita diversa da quella che mi ha portato quì dentro. Nonostante tutto questo sono contento, perchè sono nato per sfidare, quindi lo farò fino alla fine.