4-8-2001
Senza andare a cercare l'etimo della parola, che probabilmente, nel corso del tempo, ha cambiato il suo significato o non ha più quel preciso significato originario, voglio cimentarmi anch'io nel definire la sfida.
Innanzitutto, va detto che la sfida si lancia e si affronta tra esseri pensanti della stessa specie, uomini con uomini, donne con donne. Chi lancia la sfida deve essere nella condizione di vincere o di credere di poter vincere, altrimenti non sarebbe ragionevole (tipico dell'essere pensante) lanciare una sfida con la convinzione di perdere o senza nessuna possibilità di vincere.
La sfida c'è soltanto se esistono lo sfidante e lo sfidato, entrambi coscienti. Un bambino, essere poco pensante per la sua immaturità, non può lanciare sfide a nessun adulto, tanto meno al padre o alla madre, che lo conoscono meglio di tutti: potrà avere atteggiamenti di ribellione, di non comprensione degli ordini dei genitori, di ostilità, ma certamente non di sfida, perché mancherebbe lo sfidato (che deve essere cosciente di essere sfidato). Raramente può esserci sfida tra una coppia in quanto tale, perché essa è formata sulla diversità e sulla complementarietà. L'incomprensione non è sfida. In alcune occasioni, molto rare, potrebbe esserci sfida tra uomo e donna, ma sono due esseri troppo diversi tra loro, pur essendo complementari.
Sarebbe quasi come ipotizzare una sfida tra un uomo ed un animale: solitamente l'uomo affronta l'animale quando crede di poter vincere, ma questa non è sfida, è soltanto una lotta, perché mancherebbe la coscienza della sfida nello sfidato.
Non esiste sfida tra un uomo, nella sua accezione completa, ed una cosa inanimata: non esiste sfidare il mondo, non esiste sfidare una montagna o un oceano, perché, qualunque possa essere il vincitore, uno è cosciente della sfida lanciata e l'altro no, uno può vantarsi e gioire di aver vinto, ma l'altro non può rammaricarsi di aver perso, oppure viceversa, quello che soccombe (l'uomo) può rammaricarsi di avere perso, ma l'altro non può gioire di avere vinto. Ovviamente, non esiste sfida con se stessi: sarebbe come prendersi a schiaffi da soli e la figura dello sfidante e dello sfidato non possono coincidere, perché non sarebbe possibile ravvisare il vincitore ed il perdente e nemmeno lo sfidante e lo sfidato. Quella che c'è tra se stessi può essere indecisione, sofferenza nell'optare o altro, ma non sfida.
Nell'affrontare la sfida può esserci emozione, non viceversa: non si lancia una sfida soltanto per cercare un'emozione, che potrebbe non esserci, specialmente se lo sfidante risultasse perdente, ma si potrebbe provare dell'emozione nel corso della sfida o dopo, se quello che l'ha lanciata risulterà vincitore. Se dovesse perdere, non credo proprio che possa esserci dell'emozione.
Esempi sulla sfida ce ne sono molti, ma bisogna non perdere di vista la definizione della sfida: è troppo facile scambiare per sfida quello che è una lotta, un confronto, una ribellione, la sopravvivenza. Nella sfida non è necessario che debba esserci necessariamente la violenza.
La sfida è quella cognizione di se stessi, appropriata e rigorosa, per cui l'uomo non perde mai l'esatta nozione del tempo e del luogo in cui si trova e non perde mai la precisa ed esatta padronanza del suo essere.