Dimettersi o compromettersi?

 

Dino Duchini

 

26 Maggio 1996


Era una giornata di alta primavera tipicamente milanese, uno di quei giorni dove un velo di nuvole non riesce a contenere la sempre più prepotente lucentezza del sole che si avvia al suo splendore estivo. A Milano queste giornate hanno un sapore particolare, creano una contraddizione interiore dovuta al dolce sapore della natura in contrasto con lo smog e il caos cittadino. Sono sensazioni forti per anime sensibili, che a volte diventano nocivamente incomprensibili, specialmente per coloro che sono già provati da una vita disagiata.

In questa giornata il sig. Giovanni abitante in viale Monza sta tornando a casa, il suo passo è incerto, le sue spalle sono curve, la sua mente è confusa…è stanco! Ancora una volta aprendo la porta di casa dovrà trovare le parole giuste per giustificare l'ennesimo fallimento con sua moglie; certo lei lo ha sempre compreso e sostenuto nelle sue problematiche, ma questo Giovanni non riesce più a giustificarlo con se stesso, si sente inadempiente verso i suoi valori.

Lui è sempre stato onesto, sincero, volenteroso…in fin dei conti non ambiva ad una vita da "Amaro Ramazzotti", avrebbe voluto solo una vita appena degna di essere vissuta.
Quel giorno, più dei precedenti, non riusciva ad abbandonare questi pensieri, mentre infilava la sua chiave nella serratura si accorgeva di non avere neanche la forza di aprire la porta di casa …raccogliendo ciò che gli rimaneva dentro, fece un respiro profondo ed entrò.

Appena dentro incontrò immediatamente lo sguardo di sua moglie. Lei capì…Lui abbassò lo sguardo mentre gli occhi si inumidivano e l'angoscia ormai aveva fatto del suo stomaco uno spezzatino.
Le disse: "niente…anche oggi non mi hanno preso, mi hanno detto di ripassare tra sei mesi…", un groppo alla gola…il pianto che cominciava a scorrere a dirotto, sua moglie lo consolava… in fin dei conti che colpa aveva se non riusciva a trovare lavoro, sarebbe andata lei a cercare qualcosa per tirare avanti finché non fossero arrivati momenti migliori.

Quelle parole avevano, per Giovanni, un ulteriore sapore di umiliazione…ormai la sua mente era come schiacciata in una morsa di acciaio da cui non riusciva più a liberarsi!!!
Il buio più tetro davanti i suoi occhi…improvvisa la decisione… non voleva più sopportare, nulla poteva valere tutte quelle umiliazioni, si voltò vide la finestra aperta e in un attimo decise di volare verso la libertà da quel dolore.
Radunò le ultime energie nervose….
sua moglie piangendo lo tratteneva…
egli chiese un ultimo sforzo alla sua volontà…una breve corsa…il salto nel vuoto e finalmente la pace!!!
Si è ucciso un uomo perché non riusciva a trovare lavoro, ha preferito morire che protrarre una sfida di cui non riusciva venire a capo.


DALLE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS:

Per amar la virtù…conviene dunque vivere nel dolore?


26 MAGGIO 1996


Sono appena tornato nella mia cella nel carcere di Parma, ho passato la mattina a scuola, comincia a piacermi, mi stimola…chi lo avrebbe mai detto?
Mentre preparo da mangiare ripenso alle lezioni della mattina, quello che dovrò studiare il pomeriggio…accendo la TV, c'è il telegiornale regionale, a Parma si prende quello di Milano e quindi è un modo di sentirsi vicino a casa.
Mi siedo a tavola e comincio a mangiare…le notizie al TG si succedono noiose, ma ecco stanno dando una notizia alquanto irreale… un giovane uomo si è suicidato a Milano, in viale Monza, gettandosi da una finestra del quinto piano, la motivazione è allucinante: NON TROVAVA LAVORO!!

Il mio cibo perde il suo interesse, la riflessione è immediata e la domanda inevitabile: com'è possibile? Siamo alle soglie del duemila ed un uomo in una città come Milano si suicida perché non riesce a trovare lavoro. Le prime considerazioni mi arrivano alla mente: ma guarda questo qua…ma perché non è andato a chiedere le elemosina? Perché non è andato a rubare, a spacciare? Qualsiasi cosa ma non uccidersi…è fuori da ogni legge naturale, con la metà del coraggio che ci vuole per suicidarsi si possono realizzare un infinità di cose.

Mi è passato l'appetito…lascio tutto sulla tavola, mi sdraio sul letto e la mente comincia a spaziare, cerco una logica… non la trovo, questo fatto comincia ad infastidirmi. Non ci capisco nulla, un gesto così drammaticamente crudo, non mi interessa che sia proibito dalla religione, non mi soddisfano tutte le motivazioni sociologiche…la realtà è che mi sento in colpa!

Il sig. Giovanni forse era un pazzo, forse non si amava, ma in ogni caso era un uomo a cui la sua onestà, i suoi valori non avevano permesso di scendere a compromessi.
Nel bel mezzo di questi pensieri ecco riaffiorare la mia razionalità: ma quale onestà, ma quali valori, il sig. Giovanni era solo un povero pazzo, debole e forse visto che ha buttato via la sua vita in questo maniera tutto sommato non meritava neanche di vivere!!!

Quale giustificazione può avere un gesto che non lascia nessuna possibilità di risposta, un gesto irrimediabilmente senza ritorno? Continuo nel ricercare le colpe del sig. Giovanni…ma anche questo non mi soddisfa!!

Voglio un COLPEVOLE ad ogni costo, ho bisogno di un colpevole…non voglio avere sulla coscienza Sandro, Giulio, Pasquale…e quanti fanno scelte simili!!!
Decido che la colpa è della società che ha permesso ad un uomo di 41 anni di buttarsi dalla finestra…ho trovato il mio colpevole, un po' di sollievo finalmente. Mi giro sul cuscino, vorrei dormire, ma la mente continua a vagare e mi si affaccia un parallelo che non mi piace per niente, infatti con il mio ragionamento sono arrivato alle stesse conclusioni per le quali ho sempre criticato i così detti benpensanti, non mi interessa più "IL COLPEVOLE" ma un "COLPEVOLE". In fin dei conti alla così detta società civile cosa importerebbe se un detenuto come me si suicidasse? Forse questa crescente intolleranza giustificherebbe anche il suicidio della totalità degli emarginati?
Mi rassegno, capisco che per quanto possa cercare le risposte non sono a portata di mano, forse nel futuro con altre esperienze potrò capire se il sig. Giovanni ha perso o vinto la sua sfida! Il disagio intellettuale è enorme…ma dopo un po' arriva Morfeo…in fin dei conti è un po' come morire!!!

 

DALLE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS:

"Sepolture! Bei marmi, e pomposi epitaffi: ma schiudili e vi trovi vermi e fetore"


02/05/2002


E' giorno di riunione al Gruppo della Trasgressione. Alle 14.00 puntuali ci troviamo nella sala riunioni, ci siamo tutti arriva i dott. Aparo…si comincia.

All'ordine del giorno è il prossimo convegno, sia lo svolgimento che i contenuti.
Il Dott. Aparo ci propone di preparare una tesina anche noi detenuti e dividere il tempo del convegno con gli studenti. Accettiamo di buon grado… questa esperienza ci sta stimolando molto, l'argomento è difficile: "La sfida". Il dottore ci spiega anche questa faccenda dell' "andare per miti", ne discutiamo per molto tempo, arrivano le 18.00 in un battibaleno. Viene l'agente, dobbiamo andare via…avremmo ancora bisogno di tempo, le idee si sono chiarite ma ci diamo appuntamento per Giovedì 09/05/2002.
Torno in cella sbrigo un po' di incombenze quotidiane, è già ora di cenare. Dopo cena mi metto a scartabellare tra i miei appunti sono in cerca di una idea, rileggo un po' di lettere del sito, mi capita sottomano quella in cui Tiziana Croccolo ci racconta del suo amico che si è ammazzato in moto contromano sulla tangenziale. Un'altra vita persa…senza motivo, senza colpevoli!!!

Penso alla tematica del suicidio, la sua eventuale relazione con la sfida, mi viene in mente un episodio che mi aveva colpito enormemente in passato. Cerco e trovo dei vecchi appunti su quel episodio, la brutta copia di un tema fatto in prima ragioneria, leggo…mi ritornano in mente nitidamente tutte le emozioni e le fasi di quella giornata.
Mi aveva colpito più di quanto mi ricordassi, per averlo fissato così nettamente nella mia mente,decido di scrivere un nuovo testo, come voi l'avete letto, con l'imperativo di immaginare gli ultimi pensieri del Sig. Giovanni.

Naturalmente ho dei grossi dubbi sulla relazione di tutto questo con il tema del convegno…credo che con la conclusione che mi appresto a scrivere mi renderò conto se questa relazione esiste o no!!!
Senza dubbio il suicidio appare come una fuga da ogni tipo di sfida, tuttavia per metterlo in pratica necessita di alcune qualità che se impiegate in altra maniera potrebbero fornire una possibilità ampia di vincere qualsiasi sfida.
Il sig. Giovanni avrebbe, con un po' di coraggio, potuto sbarcare il lunario in una qualsiasi maniera, perché no, anche illecita, ma piuttosto che il compromesso, ha preferito la morte.

Ha rifiutato di accampare qualsiasi diritto di vivere che la natura riconosce a tutti!!!
Una caratteristica che sembra propria della "sfida" è la lealtà: il Sig. Giovanni ha dimostrato di averne molta non piegando i suoi valori a nessun compromesso, ha preferito la morte.

Eppure, egli potrebbe benissimo cercare di vincere la sua sfida utilizzando le medesime qualità che, invece, impiega per mettere in atto la sua morte.
Devo, però, ammettere che il suicidio ha per me degli aspetti affascinanti, nel senso che sento in esso un aspetto quasi "romantico", lontano dalla mia razionalità…ma esistente!!!

Sono d'accordo nell'ammettere razionalmente che il suicidio è la negazione della sfida, del confronto con gli altri e quindi la preclusone al primo bisogno dell'uomo che è quello di vivere con i suoi simili.

La prima conclusione è dunque che il suicida è sempre e comunque PERDENTE!!!
Allora perché la storia del sig. Giovanni mi ha colpito ed oggi la metto in relazione con la "Sfida"?

Credo che i motivi siano diversi.
Al momento in cui appresi quella notizia finii per accontentarmi di "un colpevole"per liberarmi da quel senso di inquietudine. Io, allora, ritenevo il mio modo di concepire le cose completamente inidentificabile con quello delle persone "benpensanti". Prendere le distanze dai "benpensanti" aveva per me una valenza enorme, mi garantiva infatti una mia specificità, una mia "autonomia di pensiero".

Certamente d'allora ho cominciato a considerare il confronto con gli altri e le mie sfide in maniera diversa, nel senso che non partivo più da una realtà comunque di contrapposizione, ma cercavo di individuare oltre alle differenze gli eventuali punti in comune.
Questo mi ha permesso di sfidare ed essere sfidato, di vincere e di perdere, ma comunque di trarre qualcosa da ciò che ho vissuto.
Terminando al caso, non posso evitare di fare presente come nel cercare di esporre il mio pensiero non sia riuscito a mettere a fuoco la parte sentimentale dell'uomo nel momento della "sfida".
Credo che essa abbia una parte almeno importante come quella razionale, quel lato "romantico" che ci rende unici al mondo (insieme alla ragione) nel bene e nel male……tanto che ci può fare apparire affascinante anche una risposta irrimediabilmente perdente come "IL SUICIDIO".

Chiudo con un ultima citazione di Foscolo, sempre dall'Jacopo Ortis:

Quando Catone s'uccise, un povero patrizio, chiamato Cozio,lo imitò: l'uno fu ammirato perché aveva prima tentato ogni via a non servire; l'altro fu deriso perché per amore della libertà non seppe far altro che uccidersi.


Conclusioni

  1. Il suicidio è prerogativa dei perdenti?

  2. Il suicidio è veramente un rifiuto della sfida?

  3. Cosa rappresenta per me il Sig. Giovanni in tutta questa storia?

  4. Avere avuto un atteggiamento simile a quello dei "benpensanti" nella necessità di trovare un colpevole a questa vicenda ha sicuramente provocato una reazione psicologica in me, quale?

  5. In che maniera è cambiato il mio modo di pensare ed agire dopo questa storia?