Per atto deviante si intende il comportamento di un membro riconosciuto di una collettività che la maggioranza degli appartenenti alla collettività stessa giudica come uno scostamento o una violazione più o meno grave, sul piano pratico o ideologico, di determinate norme che essi giudicano legittime, ed al quale tendono a reagire con intensità proporzionale al loro senso di offesa.
Nell'approccio allo studio della devianza è importante tenere conto che il nostro campo di indagine non è la differenza tra una psicologia normale e una psicologia deviante, differenza della quale si potrebbe a lungo discutere l'esistenza, ma l'insieme delle dinamiche che possono condurre al gesto deviante; ci interroghiamo quindi non sulla singola persona, ma sulle circostanze, interne ed esterne, che portano alla devianza.
Altro importante punto di riferimento è il sovrapporsi della realtà e della visione che noi abbiamo di questa.
Con queste premesse, poniamo dunque il fulcro della nostra lettura della devianza: considerare il gesto criminale come una forma di comunicazione che il soggetto intrattiene con se stesso e col mondo esterno, cioè le vittime e le figure istituzionali; comunicazione che stabilisce un legame tra passato e presente, poiché il soggetto reinveste ogni figura del presente del valore che un suo analogo aveva nel passato, sommandone i ruoli, le responsabilità e le aspettative.
Nella sfida il delinquente ha la sensazione di esserci, di esistere, i limiti del giusto-non giusto vengono guardati con gli occhiali dell'onnipotenza contrapposti a quelli della costruzione.
La sfida non è altro che una dichiarazione di sfiducia nel fatto che l'altro sia superiore; è rivolta a figure onnipotenti o avvertite come tali, in quanto si spera di poter appropriarsi, vinta la sfida, di queste caratteristiche di invincibilità.
"Gareggiare, impegnarsi in una impresa che richiede il superamento delle proprie capacità, misurarsi con dei limiti e con i propri limiti: tutto ciò risponde a un intenso desiderio di gratificazione e di riconoscimento esterno
Penso si tratti di sfiducia totale, nei confronti dei genitori, degli amici, del lavoro, delle istituzioni, in Dio. L'origine di tale sfiducia va ricercata nel vissuto, nella famiglia, nell'ambiente in cui si è cresciuti, nelle amicizie, nell'affermazione dei valori: la fede, il rispetto dell'uomo e della natura; la sfida diviene una ribellione a quanto è stato negato: amore, serenità, istruzione, svago
e a quanto è stato dato: la fame, l'abbandono, l'emarginazione, le violenze, l'angoscia, la paura
La sfida si origina sempre da un motivo portante e primordiale: la ricerca di uno spazio di libertà, una conquista personale e ideale, l'evolversi in uno spazio per ritrovare la serenità, la gioia, le emozioni conosciute ancor quando non si distinguevano le immagini ed i colori, ma se ne viveva l'armonia." (Salvatore).
Altra caratteristica della sfida è l'aspirazione che le regole o istituzioni sfidate abbiano la forza di reagire restituendo al soggetto una immagine affidabile di esse.
Il delinquente, con la propria sfida, si prefigge inconsciamente di scontrarsi con un limite che, per la sua forza, lo contenga o, per la sua debolezza, ne avvalli le fantasie onnipotenti.
Egli è, in fondo, alla ricerca compulsiva di una minaccia esterna con cui misurarsi: la minaccia della legge, continuamente sfidata, in quanto deputata ad avvallare o punire i suoi progetti di affermazione narcisistica.
Il delinquente può essere inteso come quel giocatore che, indipendentemente dal fatto che vinca o perda col suo azzardo, fa sempre i conti col fato e cioè con una figura che è da lui inconsciamente incaricata di comprovare o smentire la sua pretesa di affermarsi nell'opposizione ad un fantasma che lo sovrasta. In questo modo egli mette ripetutamente in gioco l'immagine onnipotente di sé affidando alla sua personale perizia, alla sorte in quanto tale e all'abilità della controparte, il compito di confermarla o smentirla.
La sfida, oltre che a procurargli un utile e a liberarlo da una tensione aggressiva, rappresenta un ennesimo tentativo di recupero di ciò di cui negli anni dell'infanzia si era sentito defraudato e, allo stesso tempo, una richiesta di conferma della propria identità, quella identità che, a suo tempo, era stata attivamente ostacolata o non adeguatamente supportata.
"
io non crescevo, altri me lo impedivano ed io ho sposato la mia trasgressione soddisfacendo un bisogno che non vedevo potersi realizzare diversamente.
era molto più facile trasgredire. Era molto più comodo!" (Romeo Martel)