La sfida che portiamo avanti |
Ci aspettano date importanti fra qualche giorno; la prima è quella del 19 settembre, quando ci incontreremo col Dott. Pagano e la seconda è il tanto atteso convegno sulla sfida. In entrambe le circostanze dovremo dare conto del nostro lavoro, anzi ancor di più della nostra esistenza in quanto gruppo. Dovremo far capire chi siamo, cosa stiamo facendo, perché lo stiamo facendo. Sarà quindi il caso per tutti noi cercare di fare un po' di ordine nella nostra testa; dobbiamo spulciare fra i nostri scritti, dobbiamo scovare nei nostri pensieri, e in tutto ciò che in questi mesi abbiamo fatto, quel punto comune che li lega . La sfida che stiamo portando avanti.
Siamo nati così, apparentemente quasi per caso. In realtà, durante il suo microcorso, il prof. Aparo ha gettato dei semi che alcuni studenti hanno raccolto. Questi semi hanno trovato il terreno adatto dove crescere e svilupparsi, e così sono nate le tesine.
A distanza di poco tempo dagli esami, il prof. invita alcuni "superstiti" del microcorso a mangiare la pizza per discutere di un possibile convegno al carcere di San Vittore dove alcuni studenti avrebbero esposto le proprie tesine. Da quel convegno, "primo passo dell'uomo sulla luna", si è venuta a creare una collaborazione, una relazione di reciproco scambio fra alcuni studenti, uniti sotto l'etichetta di "Gruppo esterno della trasgressione" e alcuni detenuti, il "Gruppo interno della trasgressione".
Abbiamo organizzato un altro convegno, e poi degli incontri e poi ecco saltar fuori il tema della sfida; ci siamo mai chiesti come mai questa "sfida" è saltata fuori proprio in quel periodo??? Io, personalmente no, l'avevo preso come dato di fatto.
Cos'è la sfida? Cosa accomuna i vari tipi di sfide? Fa parte dei più temerari o appartiene un po' a tutti? E' positiva o negativa?
Da queste domande è partito il primo lavoro che ha visto detenuti e studenti attivi e al lavoro per un progetto comune. Noi studenti abbiamo intervistato docenti, persone "comuni", abbiamo scritto dei nostri pensieri, mentre i detenuti si sono intervistati fra loro, hanno steso la traccia di un film Insieme ci siamo uniti due volte per fare il punto della situazione . Il frutto di questo lavoro verrà presentato il 10-11 ottobre col convegno sulla sfida.
Ma qual è la sfida che il nostro gruppo sta portando avanti?
Io credo che è proprio questa collaborazione, questa comunicazione a costituire la nostra sfida. Sfida vuol dire superamento di confini, di muri, di barriere che separano due zone diverse. Sfida vuol dire aprire una breccia sul muro, per poter vedere cosa c'è al di là. Cos'è il muro nel nostro caso? Non sono le mura fisiche del carcere, né tanto meno le sbarre che ci sono nelle celle; quelle indipendentemente dalla nostra attività rimangono.
Quando parlo con altre persone di ciò che stiamo facendo, la prima cosa che la gente intende è che noi crediamo che il detenuto possa essere curato o che la reclusione non serva a nulla. Niente di tutto questo.
I muri in questione sono più invisibili, sono dentro ognuno di noi, fanno parte di noi; sono muri che nascono per tenere separate parti in conflitto, incompatibili fra loro. Sono muri di non-comunicazione che ristabiliscono l'equilibrio, abbassano l'ansia, ma non permettono l'evoluzione, soffocano la spinta ad andar oltre.
Questi muri sono emblematicamente rappresentati dalle mura del carcere, ma un abbattimento di quest'ultimi non fa sparire i primi. I criminali fanno paura, il male in generale fa paura; è difficile vedere il male dentro di sé, male e bene sembrano due istanze che non possono stare insieme. E così, praticamente da sempre, ci sono stati "i buoni", e "i cattivi", i "santi" e i "demoni", la gente comune e i criminali. Ecco che dalla notte dei tempi questi muri sono stati eretti per separare queste due facce così diverse della società.
Credo che da questo bisogno di separare forse siano nati le carceri; queste mura, del resto, danno sicurezza, permettono di placare la paura. Così ogni qual volta la gente viene a conoscenza di un delitto, di un crimine, subito scatta quella molla, quel desiderio di isolare, relegare, confinare, allontanare il colpevole del reato. Molto spesso questo bisogno di separare spinge le persone a dichiararsi favorevoli alla pena di morte, la caricatura della separazione per eccellenza.
Dove ci collochiamo noi in tutto ciò? Cosa rappresentiamo?
Beh, personalmente io vedo nel nostro lavoro il risveglio di quel bisogno di comunicazione, quella spinta propulsiva che in qualche modo vuole andare al di là del muro, questo anche a costo di un risveglio dell'antico conflitto. La nostra sfida, come del resto credo tutte le sfide, comporta una temporanea rottura dell'equilibrio che dava un senso di coerenza, sicurezza e stabilità al nostro mondo, per trovare al di là dei confini un nuovo equilibrio, un equilibrio più solido che ci è dato dalla comunicazione di istanze così diverse.
Noi comunichiamo con i detenuti e i detenuti comunicano con noi; a cosa porta questa comunicazione?
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, ha permesso di far cadere la maschera, l'etichetta, lo stereotipo del "carcerato": no divisa a strisce, no palla alla caviglia, no cicatrici e tatuaggi, no occhi gialli e sguardo spento. Persone, esseri umani indistinguibili, per quanto riguarda l'aspetto, dalla gente che sta fuori. Questa comunicazione mi ha costretto a salutare (magari un po' a malincuore!!!) e ad abbandonare i miei cari pregiudizi, che mi rendevano la vita più facile; questa comunicazione mi ha spinto a guardarmi dentro a confrontarmi con loro . Ha acceso in me quella curiosità che sembrava assopita. Quella voglia di capire, di conoscere.
E' attraverso lo scambio di diverse esperienze, è attraverso la comunicazione fra parti tanto diverse della società che possiamo mettere in comunicazione parti di noi. Bisogna tener viva la domanda; la domanda destabilizza, e il desiderio di trovar subito una risposta è il tranello che ci fa cadere nei luoghi comuni e nei pregiudizi.
Ecco, secondo me, chi siamo noi, qual è la nostra sfida: noi siamo quella breccia nel muro, quella comunicazione riaperta. Comunicare per capire, comunicare per comprendere, comunicare per evolvere, per cambiare.
Il nostro gruppo non ha la pretesa di "cambiare il mondo", ma di favorire la comunicazione delle parti di mondo che ci appartengono. Il nostro lavoro punta ad allargare la comunicazione fra parti che hanno dimenticato il ceppo comune dal quale provengono; è da questo nostro obiettivo che è nata l'idea dei due progetti con Dario Zigiotto.
Cosa ne ricavano i detenuti?
Beh, forse sarebbe più opportuno chiederlo a loro. Di certo non privilegi, non sconti della pena, ma forse l'opportunità di trovare una via più lecita per individuarsi, per portare avanti la propria sfida, per riflettere, comunicare col mondo esterno per mettere in comunicazione parti di sé prima in conflitto
conflitto che aveva portato a deviare, conflitto che aveva trovato nell'agito una soluzione e sigillato una separazione.