La tripla carcerazione

Angelo Aparo

   

La violenza sessuale, tanto più se su bambini, suscita in chiunque reazioni emotive molto forti. Anche le persone più tranquille e benevole si lasciano catturare da fantasie punitive molto drastiche nei confronti del violentatore. Di fronte allo stupro della donna indifesa, alla seduzione e alla violenza sui bambini, la persona che non ha un rapporto diretto con il reo viene generalmente invasa da un desiderio di vendetta che azzera la voglia di conoscere l'origine di tali comportamenti. Questo tipo di violenza suscita infatti una spinta a identificarsi con la vittima e un incontenibile impulso a prendere le distanze dall'aggressore: il suo comportamento viene significativamente definito "mostruoso", "bestiale", "disumano". Da qui, l'impossibilità di chiedersi quale particolare rapporto questi abbia con chi subisce la sua azione.

Singolare rapporto, certo! Rapporto auto-erotico, nonostante la presenza di un'altra persona! Tanto più se si tiene conto che la vittima, in questi casi, viene totalmente spogliata della sua identità e utilizzata come supporto per un tentativo inconsapevole e ogni volta fallimentare di arginare l'angoscia degli abbandoni, delle violenze e/o delle seduzioni che il violentatore ha subito nei primissimi anni della sua vita.

La costante storica che accompagna questo tipo violenza è riconducibile ad almeno uno dei seguenti punti: l'abbandono dei genitori in età precoce; l'internamento in collegio, spesso seguito da svariati trasferimenti in altri istituti; l'attenzione seduttrice degli adulti deputati ad occuparsene; la violenza subita dagli adulti (non di rado, gli stessi che esercitavano sul bambino la seduzione o delle loro controfigure). Negli istituti minorili, infatti, non era - e forse non è ancora oggi - raro trovare accanto alla figura punitiva quella che concupisce mentre "protegge".
Provenienti in buona misura da storie personali siffatte, il pedofilo, lo stupratore assegnano alle loro vittime il compito di riattualizzare il rapporto con un adulto del loro passato: quello o quegli adulti che, a loro volta, li avevano sedotti e/o violentati. In tal modo cercano di recuperare per sé un ruolo attivo che, all'epoca della violenza subita, era stato interpretato dall'adulto di allora.

Il pedofilo seduttore cerca di pilotare la sua vittima verso il piacere della passività; il violentatore, più semplicemente, la costringe a farsi oggetto passivo per esaltare il desiderio di chi la oggettualizza, desiderio che ha tanto più bisogno di esprimersi annientando l'identità della vittima, quanto più, a suo tempo, era stato sedotto, violentato, negato.

Quanto appena descritto viene però accompagnato, anche se in maniera oltremodo contraddittoria, da una latente aspirazione a trovare la strada per realizzare un diverso rapporto con se stessi e con le figure adulte che avevano segnato tanto pesantemente la loro storia personale. Nel mentre viene esercitata la violenza sulla vittima, a questa viene infatti inconsciamente e paradossalmente richiesto di valorizzare gli aspetti e i sentimenti positivi che il pedofilo e il violentatore cercano dentro di sé. L'uno e l'altro coltivano infatti la fantasia di farsi accettare dalle loro vittime e, addirittura, di volerle aiutare ad esprimere desideri che esse "non sanno di avere".

In altri termini, una parte dell'intenzione inconscia consiste nel tentativo di recuperare retroattivamente il rapporto subito in passato con l'adulto allo scopo di cercare nella ripetizione attuale di quel rapporto non solo la possibilità di un ruolo più attivo per sé, ma anche uno spessore affettivo e una apertura verso l'altro che il rapporto di allora non aveva consentito. La persona che esercita violenza sessuale sull'altro affida alla sessualità il compito di ristrutturare le proprie vicende precoci per passare dal ruolo di vittima di violenze e abbandoni a quello di chi, invertendo i ruoli, tenta disperatamente anche di modificarli, cercando lo spazio per una illusoria reciprocità.

Tentativo illusorio appunto! Il risultato è inevitabilmente la trasmissione di una ferita che, con buone probabilità, indurrà il suo nuovo portatore a tentativi auto-terapeutici altrettanto fallimentari.

Lasciando a chi è fuori l'indignazione, la Legge non può trascurare che chi agisce la violenza sessuale è, a sua volta, vittima coatta, incapace di riappropriarsi dei propri desideri in altro modo che non sia quello di strapparli all'altro.
Se da un lato è giusto che vi sia una condanna, dall'altro non possiamo trascurare che il violentatore, prigioniero delle vicende che lo hanno reso incapace di rispettare lo spazio dell'altro, ha bisogno di recuperare un proprio spazio per riconoscersi. L'obiettivo della Legge non può quindi limitarsi a ridurre ulteriormente gli angusti confini entro cui questi soggetti vivono, nemmeno se l‘isolamento cui essi vengono costretti in carcere risponde all'obiettivo di "proteggerli" dal giudizio e dalle rappresaglie degli altri detenuti.