Da La Repubblica 25 febbraio 2001


Chi ha il diritto di toccare Caino


Gabriele Romagnoli

Ora sappiamo che Erika De Nardo è il Male assoluto.
Chi siamo noi lo scopriremo rispondendo a una domanda: che cosa facciamo di lei? La mandiamo al rogo, la esorcizziamo, le iniettiamo una siringa di veleno nelle vene, la rimuoviamo dalla memoria e dalla coscienza, la perdoniamo in nome di Dio, la scarceriamo fra vent'anni in nome di qualche legge? Oppure? Quel che accadrà ci dirà se siamo cittadini del Medio Evo, del Texas o del Mondo Possibile.
Nel Medio Evo, Erika verrebbe bruciata in piazza, come una strega. Ha torturato e ucciso la madre e il fratello, tentato di ammazzare un terzo innocente additandolo come responsabile. O, se è innocente come dice, comunque ha protetto se non sollecitato, l'assassino della madre e del fratello: dunque arda.

Perché nel Medio Evo non si conosce altro rimedio che il fuoco purificatore; chi incarna il male è irrecuperabile, "geneticamente diverso", ha natura inumana e cittadinanza straniera. Se un estremo rimedio può essere tentato, è l'esorcismo, giacché tanta crudeltà in una ragazza non può essere spiegata altro che con la presenza del diavolo, la "cattiva compagnia", magari entrato surrettiziamente nel corpo della creatura attraverso le forme di una demoniaca polvere bianca chiamata cocaina. Nel Medio Evo, simili riti salvifici verrebbero compiuti pubblicamente, di fronte allo sguardo di tutti i miopi che li sollecitano, ripresi e trasmessi all'ora di cena da un paio di telegiornali diretti da persone degne di fede.

In Texas, Erika sarebbe condannata a morte, tramite iniezione letale. Oggi.
Cinquant'anni fa avrebbero fulminato sulla sedia elettrica il "diverso" da lei indicato come assassino e se era al bowling con venti testimoni, pazienza: la parola di venti uomini neri non vale quella della ragazza bianca. Ma anche il Texas si è allontanato (leggermente) dal Medio Evo e riconosce che la colpevole può essere la ragazza bianca. Pertanto, la punisce esemplarmente.
Uccidendola.

Se c'è un caso da pena di morte, è questo. Non è possibile immaginare un delitto più atroce: per le vittime prescelte, le modalità adoperate, la perfidia susseguente. Non c'è timore di giustiziare un innocente: Erika è l'assassina e finirà per confessare. E se non lo facesse vorrebbe soltanto dire che è, se possibile, ancora peggiore. Il Texas la eliminerebbe, perché tanto non c'è speranza, perché così si dà un esempio ai giovani e si soddisfano i parenti delle vittime.
Due anni fa lo fecero con una donna di nome Karla Tucker. Quando uccise aveva pochi anni più di Erika, un fidanzato per complice, un diavolo chiamato droga in corpo. Fece fuori due persone a picconate. Dichiarò, dopo: "A ogni colpo, provavo un orgasmo".
Quando la giustiziarono erano passati vent'anni, era una donna religiosa e pentita. Morì chiedendo scusa mentre il veleno le entrava in corpo: i suoi parenti, affranti, dietro un vetro; quelli delle vittime, esultanti, dietro l'altro.

Ma nel Mondo Possibile, di cui fa parte Novi Ligure, accade che i parenti delle vittime e quelli dell'assassina siano la stessa persona: l'ingegner Francesco De Nardo, colpito da inaudita tragedia e insignito di valenza metaforica.
Lui è il padre dell'agnello sacrificato e della iena che l'ha ucciso.
Lui è il simbolo.
Ci ricorda che iena e agnello possono provenire, come Caino e Abele, dalla stessa famiglia, perfino assomigliarsi, in principio: non "geneticamente diversi", semmai "organismi geneticamente modificati", da quello che accade loro dopo.
L'ingegner De Nardo è l'uomo che indica a tutti la risposta da dare alla domanda: che fare di Erika? Non possiamo bruciarla, esorcizzarla, giustiziarla, perché ci appartiene. Non possiamo rimuoverla, perché il ricordo di quel che ha fatto resterà indelebile.

Non possiamo perdonarla, perché è probabile che troppo le sia già stato concesso. Possiamo provare a cambiarla.
Che è molto più difficile. Perché non basta chiuderla in una cella, buttare le chiavi, mandare ogni tanto un cappellano e pregare che diventi un'altra Karla Tucker. Nella sua prigione entrerà il padre e con lui, simbolicamente, tutti noi: quelli che sono genitori e temono di sbagliare e quelli che non lo sono diventati per non farlo. Di fronte al Male assoluto non si volta la testa e non si pecca di miopia, lo si guarda in faccia, ammettendo che ci abitava a fianco e non l'avevamo riconosciuto.
E lo si combatte, umiliandolo con il dono della pietà (che non è l'elemosina del pietismo), annichilendolo con la forza di un amore tenace che non chiede di essere ricambiato, ma solo offerto, non per vocazione, ma per scelta: perché questa umana specie non sia "geneticamente modificata" dall'odio e questo luogo non divenga Medio Evo né Texas.