Dopo la visita a San Vittore | |
Alcuni studenti di Carate | 18-12-2003 |
Quello che mi resta maggiormente impresso dopo questo incontro sono le facce dei detenuti. Una persona che entra per la prima volta in un carcere si aspetta di incontrare dei criminali, o comunque persone poco rassicuranti; io, invece, ho trovato dei detenuti che avrebbero potuto essere i miei genitori o i miei fratelli maggiori, perché le loro facce non mi trasmettevano nessuna sensazione negativa.
Ad esempio, un detenuto mi ha detto che tutto ciò che gli manca della sua vita precedente sono la moglie e i due figli, ma che non può vederli spesso perché non vuole che i suoi bambini perdano dei giorni di scuola. Questo sacrificio per il bene dei suoi figli mi ha colpito, perché è l'ultima cosa che mi sarei aspettato di sentirmi dire da un detenuto.
Questo incontro mi ha permesso di venire in contatto con una realtà che prima sentivo lontana, e ha sgretolato tutti i pregiudizi che avevo prima sulla vita carceraria e sui detenuti.
Sono uno studente della 5bs del liceo scientifico tecnologico di Carate Brianza. Per motivi personali non ho potuto essere presente all'incontro con i detenuti, anche se penso mi sarebbe piaciuto molto.
Comunque, non per fare il solito bastian contrario, ma penso che voi mostriate i detenuti come delle vittime, e non come delle persone che devono pagare per i crimini che hanno commesso.
Io stesso riconosco in queste persone della dignità in quanto esseri umani, ma nel momento in cui essi stessi tolgono dignità ad altre persone non le riconosco più come tali. Almeno questo è quanto uscito dalla vostra esposizione avvenuta nella mia scuola... Scusate lo stile un pò frettoloso con cui scrivo ma sono nel laboratorio di matematica... avrei davvero voluto partecipare al vostro incontro.. peccato... saluti.
La visita è stata molto interessante in quanto ho potuto comprendere un aspetto della società che si cerca sempre di evitare. Inoltre ho potuto capire quanto è importante la libertà perché all'interno del carcere il tempo sembra che non passi mai a causa della monotonia che lo contraddistingue.
Il progetto del gruppo della trasgressione mi sembra utile in quanto può aiutare i carcerati a comprendere gli errori commessi e a non ripeterli nel momento in cui saranno di nuovo liberi.
Un fattore che mi ha stupito è stato la grande voglia di ricominciare dei detenuti che non hanno perso la speranza e la fede in Dio.
Questa esperienza mi ha colpito molto, è stata molto interessante e ha superato le mie aspettative. Pensavo che mi sarei trovato a disagio, che mi sarebbe venuta una qualche paura, invece no. Mi è servita per capire la vita che passano (almeno la immagino) ed ho capito che l’idea di carcere passata dai media è sbagliata.
Mi sono dovuto ricredere su alcune idee che avevo e il dialogo avuto mi ha aperto ad alcune problematiche a cui non avevo mai fatto caso o più probabilmente non avevo mai preso in considerazione perché non riguardavano me da vicino.
Anche se ci hanno mostrato la parte più “lussuosa” del carcere, l’ambiente è brutto e inquietante. La sala dell’orologio è quella che mi ha colpito di più: ampia, monotona, senza arredamento, con appeso solo quell’orologio su cui si narra la leggenda dell’unico uomo riuscito ad evadere. Con quello si simboleggia il tempo che si ferma, e le giornate lì dentro sono tutte uguali. Sembra di vivere lo stesso giorno per tutta la vita.
Questa condizione, però, è causata dallo stesso carcerato che commette degli errori durante la vita che, però, non possono essere riparati. Errori che tutti, lì dentro, hanno capito (quelli con cui abbiamo parlato), si sono pentiti e cercano di riparare a quello che hanno fatto inducendo i loro figli a non seguire la loro strada. Il rapporto con la famiglia, però, è molto difficile perché gli viene data una sola ora a settimana per i colloqui familiari.
Hanno commesso errori anche per motivi futili ma pensando di essere dalla parte della ragione perché “nessuno sbatte la testa sapendo di farsi male”. Comunque l’importante è capire gli errori, imparare da essi e cercare di migliorarsi. Non solo loro devono compiere questa ricerca di se stessi! Una ricerca che non avrà mai fine.
Non avevo mai avuto l'occasione di entrare in un carcere e penso che in futuro non ne avrò più. Questo perché un uomo qualunque non dedica tempo a emarginati e delinquenti.
L'occasione che mi è stata offerta penso di averla sfruttata bene; primo perché ho toccato con mano l'ambiente del carcere; sbarre, porte, portoni e ancora sbarre. Ma soprattutto ho analizzato le persone, i carcerati.
Potrebbero essere chiunque dal loro aspetto molto rassicurante ma se sono li c'è un motivo. Lì dentro ho notato che la vita si ferma. E' orribile non essere utili per nessuno, non avere un fine, uno scopo. E' proprio il non avere pressioni dall'esterno (lavoro, famiglia) che conferisce a queste persone un po' il sapere filosofico.
Dai loro scritti, dal loro parlare emerge la vera ragione umana, d'altra parte li dentro c'è solo da pensare. Noi invece abbiamo il corpo libero ma la mente imprigionata, quante pressioni, quante scadenze, quanti appuntamenti da rispettare.
La visita al carcere di San Vittore mi ha colpito molto perché mi ha mostrato una realtà che solitamente è trascurata, inaccessibile a noi ma piena di interessanti sfaccettature. Mi ha toccato particolarmente la consapevolezza e la voglia di riscatto che riempiva i cuori dei detenuti.
I meriti di questo maturamento penso siano da attribuire allo studio e al lavoro di gruppo, che hanno fatto riaffiorare nei detenuti questi valori che si erano momentaneamente congelati. Per le persone che hanno saputo fare ciò, allora, il tempo non è fermo, ma ben utilizzato.
Inoltre uno dei problemi più grandi che ho riscontrato parlando con questi uomini è il difficile rapporto con le famiglie che venendo trascurato può avere effetti distruttivi sia per i genitori che per i figli.
L'esperienza della visita in carcere è stata molto positiva dal mio punto di vista, ma credo che anche tutti i miei compagni siano dello stesso parere. Ho trovato molto interessanti i temi trattati, sia leggendo gli scritti dei detenuti e degli studenti, sia parlando direttamente con loro. I temi trattati sono stati i più disparati, ma quello che mi ha colpito di più è stata la discussione sul loro rapporto con la famiglia, sia prima dell'arresto, che ora. Ci hanno infatti raccontato che hanno solo un'ora alla settimana per vedere i loro familiari, quindi intrattenere un rapporto con loro diventa molto difficile.
In privato con loro ci hanno chiesto specialmente del rapporto con i nostri genitori, come loro si comportano nei nostri riguardi e in che modo cercano di educarci.
Molto interessante è stata la discussione riguardo a come vorremmo che i genitori ci aiutassero a capire ciò che è giusto o meno, e mi ha colpito molto la testimonianza di un detenuto che mi ha raccontato che i suoi genitori non facevano altro che picchiarlo, e questo non ha fatto altro che allontanarli dalla sua vita.
Ho notato grande entusiasmo da parte dei partecipanti a questo incontro, sia da parte dei detenuti che degli studenti che ci hanno accompagnato, svolgendo un'importante opera di mediazione tra noi e i carcerati, specialmente all'inizio.