Dopo l'incontro Carate | |
Livia Nascimben | 19-11-2003 |
A mio papà e ai figli di Enzo Martino, Antony e Giuseppe.
Oggi ho sofferto l'assenza di Enzo al gruppo, mi è mancato un sostegno, il potermi riconoscere nel suo sguardo.
Quando è presente sono più tranquilla e prendo la parola più volentieri: se non riesco ad esprimermi bene, so di poter contare su di lui; riesce spesso a intuire cosa vorrei dire e mi presta la voce; altre volte il suo pensiero si allontana dal mio, ma anche in quelle occasioni il suo sforzo nel venirmi incontro mi dà fiducia. Se non me la sento di parlare, vivo il suo spronarmi come un invito severo e affettuoso a crescere.
Quando c'è lui mi sembra di impegnarmi maggiormente, come se volessi dimostrargli qualcosa e dirgli: "ehi, guardami, guarda come sono brava!"; è come se nei suoi occhi io mi vedessi effettivamente brava e importante ed è difficile ora rinunciare al suo sguardo, anche per un incontro solo.
Sento Enzo molto paterno. Più che mai sabato con i ragazzi della scuola di Carate l'ho sentito papà: si prendeva cura di me, cercava di farmi sentire che il nostro gruppo stava andando bene anche se non stavamo seguendo la direzione stabilita per quella giornata; io ero nervosa e lui mi rassicurava. E mentre sosteneva me, rispondeva con estrema dolcezza a quei ragazzi che gli facevano domande molto personali sulla sua vita privata, di padre e di uomo. A me pareva che molte domande fossero invadenti ma lui le accoglieva comunque, non ne ha mai lasciata cadere alcuna, ha raccontato della sua vita e dei suoi figli in modo intenso, curandosi però che io capissi che quei ragazzi avevano in quel momento bisogno di quelle risposte.
Nel ripensare a quanto era accaduto e a ciò che io provo nella relazione con Enzo, quasi mi sembra di prendermi ciò che non spetta a me ma ai suoi figli: il suo affetto e il suo sostegno.
Forse Enzo si comporta con me come può fare solo a distanza coi suoi figli e forse io mi relaziono a lui come non riesco a fare con mio padre. Forse stiamo facendo le prove generali per quando rincontreremo io mio padre e lui i suoi figli.
In Enzo, e in molti altri detenuti del gruppo, vedo uomini che si interrogano su ciò che è stata ed è la loro vita, che si prendono cura dei propri sentimenti e di quelli degli altri come di un tesoro da cui trarre arricchimento, che guardano le parti di loro stessi più imperfette e cercano insieme di utilizzarle in modo creativo perché diventino stimolo al cambiamento e ad una maggiore capacità di relazionarsi.
A volte sono intenerita nel vedere uomini di 30, 40, 50 e 60 anni consegnare a noi giovani le parti di sé più fragili e vitali e venire nutriti da ciò che viviamo e siamo noi.
A volte vorrei che mio padre fosse al gruppo, vorrei scambiare con lui affetti, pensieri ed esperienze col desiderio di ascoltare e dare e senza il timore di avvicinarci l’uno all’altro.
Ringrazio, in particolar modo, Enzo per la collaborazione e per ciò che di buono stiamo costruendo insieme. Un giorno, forse, le nostre vite si separeranno ma ci ricorderemo che da qualche parte, vicino e lontano, c’è una persona che è stata importante nel farci prendere confidenza col nostro essere figlia e padre.