Canzone stonata

Tommaso Solesin

  10-05-2005
 

Non esprimerò il mio pensiero in quattro quarti. Voglio un ritmo pungente, con quel ritardo sul colpo che lo trasforma in una trappola per chi l’ascolta. Un dispari insolente che cerca di cogliere più di quello che dovrebbe, che va oltre il verso. Un cinque quarti con rivolti. Se la chitarra fa il do, io, il basso, suonerò il sol.

Non per egocentrismo o per fare polemica. Il basso tiene il tempo, quasi non si sente, nascosto dietro chitarre e batteria, ma quando suona la quinta su un accordo maggiore, crea l’armonia. L’orchestra è pronta: la mia chitarra sarà Walter, la batteria Marcello; alle tastiere Sofia.

Non c’è dubbio che “la pena concretamente inflitta risulti ignorare troppo spesso l’uomo, riducendolo al reato commesso”. Bisogna però chiedersi quanto, in una società così numerosa e complicata, sia da condannare.

Tex Willer dice spesso che giudica le persone dai fatti: questo non è dimenticare l’uomo ma concentrare l’attenzione su ciò che per sua volontà ha compiuto. Perché il primo ad aver dimenticato l’uomo è chi commette un reato.

Quando la colpa autorizza a infierire sul colpevole, la giustizia scade nell’ingiustizia”.

Verità sacrosanta, la legge del taglione è ormai passata di moda. Però quale via è più efficace di quella che mi fa provare sulla mia pelle ciò che hanno provato le mie vittime, per capire, crescere, ricostruirmi? Basta davvero la riflessione, lo studio o serve anche l’esserci nella merda per capire che l’uomo tradito è stato per primo la mia vittima?

La pena ci deve essere  anzitutto perché è un diritto del colpevole quello di non essere allontanato dalla comunità.  La punizione dovrebbe permettere al reo di pagare il prezzo del suo errore e di essere riabilitato a rientrare a far parte della società.”

Giusto. Ma rientrare come? Ricostruito! Il carcere non ti ricostruisce, ti disintegra le barriere morali che ti erano rimaste. Però esci e conosci, sai cosa vuol dire tradire ed essere tradito.

La giusta pena dovrebbe essere un mezzo per il recupero del reo ma spesso si riduce ad uno strumento per il suo asservimento ed annulla la dignità dell’uomo.”

Parole belle e dure quelle di Sofia. Ma questo annullarsi della dignità non inizia in carcere, comincia quando si compie il reato. Il fine è REINTEGRARE, ricostruire le barriere morali, per far ciò l’individuo, che ha tradito la società, quindi l’uomo, deve essere ISOLATO per capire e crescere.

L’uomo, Signori l’uomo, deve essere il fine di ogni azione umana”.

E finché ci saranno persone che tradiscono l’uomo la società degli uomini si difende come può.

Non è possibile paragonare la zampata di Bagheera alla pena. Bagheera è giudice, avvocato difensore e “boia”. Conosce nell’intimo il cucciolo d’uomo e sa che è integro, non è da ricostruire.

La società vede il fatto: un uomo, non cucciolo, tradisce gli uomini, sceglie di tradire. Non sa niente di lui, non può saperlo. Forse la legge del taglione non è poi così tanto passata di moda.

Forse è nella natura umana. È del Dio degli ebrei e dei musulmani. Il Dio dei cristiani ama, non so come interpretarlo. Dio, però, punisce dandoti i mezzi per affrontare la punizione: caccia Adamo e gli dà le vesti di pelle, punisce l’uomo e gli dà Noè con la sua barchetta.

E’ paradosso, tutto è paradosso, anche nella mia lettera. E noi, paradossalmente, incontriamo delle persone, le giudichiamo, giudichiamo la società e le sue istituzioni senza sapere il fatto, il suo perché, i suoi effetti. Parliamo del carcere e non ci siamo stati.

Mi viene da vomitare. Ma vomito ascoltando e scrivendo il mio urlo voglioso. Un grido, che sgretola questa odiosa volontà di uguaglianza in ogni senso. Un grido, verso tanta presunzione nel voler essere uguale ad un altro. Si! Non siamo tutti uguali e per questo ognuno deve prendere la sua strada.”

Mi piace pensare che mentre leggo questo urlo, questo si faccia il mio urlo. Lo sento nelle vene, nello stomaco, ne sono pieni i polmoni, ma arrivato al cervello, muore.

Sono andato su e giù per la cella con un bicchiere in mano ed un bastone, battendo il tempo in modo perfetto. Oggi va così: quattro passi avanti e quattro passi indietro, di numero.”

Alcune mie giornate sono così, mi trascinano in una monotonia distruttiva, allora, io, apro la porta.

Io non posso capirvi. Non so cosa ha senso e cosa no. Mi piace abbandonarmi nella quieta idea di sicurezza di sapere che un muro mi protegge. Ma poi penso all’urlo, così mio; al bastone, così mio… Mi protegge ancora il muro? Seghe mentali.

È il vertice, il momento conclusivo. Ma conclusione non c’è se non quella di non aver seguito il tempo, mi sono perso nelle parole, unico mondo dove ci possiamo incontrare. Rimetto nella fodera il mio basso, mi accorgo sol’ora che mi mancava una corda, il la.