Studiare con i detenuti è interessante più che studiarli

Margherita Macis

17-04-2002

 

13 aprile 2002

Ore 13:00 Carte d'identità, controlli, metal detector, si apre la prima porta. Camminiamo in gruppo, silenziosi. Alzo lo sguardo. Vedo un grosso orologio attaccato alla parete. L'ora è sbagliata, le lancette sono immobili; "Qui il tempo è fermo, non esiste", mi dice piano un'amica.
Procediamo e come un testimone durante una staffetta veniamo affidati ad un agente diverso dopo ogni cancello che varchiamo. "Seguite il collega" ci viene detto meccanicamente.

Ore 13:45 S. Vittore, sezione penale. Un corridoio largo dai muri chiari. Un odore strano, ma fresco. Tendo l'orecchio e sento il Prof. Aparo che dice a qualcuno dei miei compagni che San Vittore non è tutto come questo corridoio. Negli altri reparti non è così chiaro, non c'è questo silenzio.

I ragazzi che dovranno esporre i lavori sono emozionati. Scambi di opinioni, parole, sorrisi, incoraggiamenti. Qualcuno non ci vuole pensare. Qualcuno ci pensa troppo. Qualcuno pensa che una volta usciti di qui, forse vedrà il mondo di un altro colore.

I minuti passano. Tra poco si comincia. La gente arriva a gruppi e via via i posti a sedere vengono occupati. La visuale non sarà ottima per tutti, e forse le sedie sono troppo poche. Ci si chiede dove siano i detenuti, quali facce avranno. Ci viene detto che non li distingueremo dai liberi cittadini presenti.
Ci sono delle porte ai lati di questo corridoio. I più curiosi le aprono; vogliamo vedere; cos'è questo mondo? questo mondo sconosciuto.. questo mondo che ho visto solo nei film.. la porta si apre, riesco a intravedere qualcosa di colorato, forse una tenda, un ripiano, la luce che filtra dalle sbarre alla finestra.. richiudono velocemente la porta. Forse c'è dentro qualcuno.. o forse no. E' una cella, o è una stanza con tavolo e sedia come le altre che sono ben visibili a tutti poiché sprovviste di porta?
Gli occhi di tutti continuano a scrutare instancabili lo spazio attorno, le chiacchiere si fanno concitate. Vorrei poter fermare il momento. Vorrei fotografare le sensazioni che traspaiono dai volti dei presenti.

Ore 14:10 Collaboriamo.. lo spazio cambia forma: spostiamo i tavoli, le sedie vengono disposte in semicerchi concentrici, ne vengono aggiunte delle altre. Ora c'è posto per tutti. Ci siamo quasi tutti. Al centro, ben visibile di fronte, un tavolo. Sopra il tavolo, l'amplificatore. Persone in piedi ai lati. Mi chiedo se siano alcuni dei componenti del Gruppo della trasgressione.. ma arriva un agente che apre una di quelle porte dietro cui avevamo sbirciato. Ora si vedono chiaramente le sbarre. L'agente gira le chiavi nella serratura, apre la cella. Esce un uomo, sorride, saluta qualcuno dei presenti mentre cammina.. lo perdo di vista. Ormai il corridoio è gremito, le voci si moltiplicano, la temperatura si è alzata. Bisogna aprire una finestra.
L'uomo che era uscito poco fa viene riaccompagnato in cella. Chissà perché..

..Ho appena chiacchierato con alcuni dei relatori. Ci siamo domandati quale piega avrebbe preso il dibattito...

Si comincia! Dopo la prima esposizione, di Francesca Pavesi, qualcuno chiede se attraverso il significato della sua tesina non si finisca per giustificare ogni tipo di trasgressione..
Ora le nostre perplessità circa il dibattito non esistono più.
Un bel commento.. una buona questione.. ci penseremo.. dopo se ne parlerà.

Silvia Casanova legge la sua tesi. Giuda, Gesù.. il tono è teatrale, la voce pacata.. gli ascoltatori sono incantati..


..la penna si è fermata, non riesco più a scandire i miei pensieri, non c'è tempo, devo VIVERE.
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Le emozioni, le emozioni, quante emozioni.
Pausa.
Qualcuno vorrebbe fuggire. Qualcuno vorrebbe piangere. Qualcuno è felice di ciò che sta vivendo.
"Mi sento piccola e impotente" mi ha detto un'amica.
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Martedì 16 aprile 2002. Tre giorni dopo.

Decido ora di condividere con voi ciò che ho scritto l'altro giorno, di getto, momento per momento, cosicchè anche i miei pensieri possano fondersi con i vostri, e appartenervi, come i vostri appartengono a me.

Quando eravamo lì non ho provato né compassione, né mi si sono mai confusi i pensieri.
Non sono d'accordo -e non me ne voglia chi invece lo è- con chi si è fatto prendere troppo dalle emozioni, finendo per idealizzare i detenuti che abbiamo incontrato a S. Vittore.

E' bello pensare di poter parlare, collaborare, confrontarsi, crescere, imparare gli uni dagli altri, e forse costruire insieme qualcosa di buono.

Ma anche se abbiamo visto e ascoltato persone che ci sono sembrate vicine a noi e lontane da come vengono descritte solitamente, non possiamo escludere che qualcuno di loro, magari come il Signor Tonino, potrebbe sparare ancora.

Certo, li abbiamo sentiti vicini perché abbiamo visto delle PERSONE, con le nostre stesse emozioni, con le nostre stesse fattezze, e non mostri senza ragione o sentimenti. Penso che proprio noi, studenti di psicologia, dovremmo mantenere il giusto distacco critico; appassionarci sì, ma senza perdere di mira che studiare insieme con i detenuti e riconoscerci reciprocamente come persone sono obiettivi bellissimi, ma che obbligano sia noi che loro a un rispetto reciproco duraturo e non limitato all'emozione di un incontro.

Inoltre, lì con noi c'erano circa 30 detenuti, per quanto ho capito, alcuni fanno parte del Gruppo della trasgressione ed altri di un gruppo che si autogestisce. Si tratta di uomini che hanno scelto di impegnarsi, di lavorare, di studiare, di ascoltarsi; hanno intrapreso un cammino per provare a comprendere se stessi, la loro condizione, la società, hanno deciso di colorare il muro del vicolo cieco in cui si trovano, al posto di prenderlo inutilmente a testate. Ammiro il loro impegno, la loro voglia di non smettere di crescere, ma cosa sappiamo degli altri 1900 e più, residenti a S. Vittore? Ciò che abbiamo visto sabato è splendido ma non generalizzabile a tutti i detenuti.
La strada è lunga e difficile, ma un primo passo è fatto.
Facciamone degli altri, se ci sarà consentito, ma senza illuderci che sia semplice.