Tempi e circostanze del mio fare |
Ivano Longo | 09-09-2003 |
Quali sono le condizioni ambientali e soggettive che alimentano la voglia di costruire o di distruggere?
Questa domanda, come il discorso che il dott. Aparo ha fatto parlando del romanzo “Se questo è un uomo” di Primo Levi, mi ha portato a pensare all’esperienza che ho avuto con le droghe, in particolare l’eroina e la cocaina. Menziono queste due tipologie di droghe perché, benché diverse tra loro, l’effetto che esse producono sull’uomo, mi ha richiamato in tutti e due i casi quanto descriveva il dott. Aparo mentre parlava del romanzo.
Cosa porta un uomo alla completa distruzione pur non essendo in un campo di concentramento?
Nel mio caso è stata la droga; questa ha avuto la forza di condurmi laddove altre situazioni non erano riuscite: alla mancanza di rispetto verso me stesso e verso gli altri, alla perdita dell’amor proprio, al rifiuto per tutto quello che mi circondava, all’annullamento di ogni valore, alla realizzazione di comportamenti che, visti con la lucidità di oggi, mi suonano impossibili da attuare senza che la psiche ne resti danneggiata; e, in effetti, mi sento un po’ danneggiato.
Ma partiamo dall’inizio; la droga ha creato dentro di me dei meccanismi sia di difesa che di attacco. Entrambi alimentati dagli obiettivi che volevo raggiungere o che il mio stato di allora credeva di voler raggiungere; per me era importante soltanto il mio benessere del momento e quindi il mio egoismo, il quale è riuscito ad oltrepassare qualsiasi ostacolo, anche quello rappresentato, in certi casi, dalle persone fisiche.
Ho rivisto nella mia mente la situazione di Levi quando per un paio di scarpe o per una patata era disposto a fare di tutto e s’ingegnava a fare di tutto, ricorrendo anche a compromessi e tradimenti con se stesso oltre che con i suoi compagni pur di ottenere quello di cui sentiva bisogno.
Essa, la droga, ha creato dentro di me lo stesso meccanismo, soffocando per anni la mia sensibilità e le percezioni che non volevo sentire perché dolorose: dolorose come le crisi di astinenza per me, come la mancanza di cibo e il freddo incessante nei campi di concentramento per Levi.
Quando un uomo viene privato di quello che in quel momento sente indispensabile per vivere e stare bene (si possono sentire indispensabili sia la droga che il cibo, che l’amore stesso), in lui vengono a crearsi dei meccanismi di “sopravvivenza” e nulla o quasi conta più; l’importante è raggiungere il benessere, l’importante è non soffrire. Ma qui bisognerebbe inoltrarci nel discorso della sofferenza, delle situazioni in cui la si vive e del senso che le viene attribuito dalla singola persona; penso che se io riesco a dare una spiegazione, qualunque essa sia, al mio dolore, potrò anche accettarlo più facilmente e quindi conviverci più a lungo.
Ma in certi casi la spiegazione a questa sofferenza non riusciamo a trovarla e allora si continua a scappare da essa, ad inventarci espedienti impossibili, a crearci mondi inesistenti che poi facciamo diventare reali sapendo che reali non sono. Si entra a questo punto in una spirale che ti porta sempre più giù, sempre più dolorosa e sempre più devastante, e a questo punto è più difficile tornare indietro.
Ma perché tornare indietro quando si può scoprire qualcosa di nuovo anche andando avanti?
Io non so molto delle condizioni ambientali e soggettive che possono indurre altri uomini a costruire o a distruggere, so solo che nella mia vita quello che ha dato voce alla mia voglia di distruggermi è stata la droga, quello che mi sta motivando a costruirmi sono le attività che porto avanti con i gruppi di cui faccio parte. Mi sta ritornando la voglia di studiare e io non so neanche da che parte iniziare perché di quello che ho imparato quando andavo a scuola non mi ricordo più nulla, sento che devo andare avanti e scoprire cosa succede nel “mondo” e cosa mi sono perso in tutti questi anni di droghe.