Ma se ci sono tante maschere, chi decide?

 

Franceso Ghelardini

 

01/02/2003

Finta testa o finto volto con sembianze umane o animali, che si porta a scopo scherzoso, di spettacolo o rituale.
Volto dai lineamenti molto espressivi o che rivela una determinata condizione fisica o spirituale: "il suo volto era la maschera della disperazione".

Potremo andare avanti riempiendo cento fogli di definizioni, le più disparate, le più contrastanti o concordanti senza comunque arrivare mai ad un punto fermo e che valga per tutti quanti.

Il punto è, a mio avviso, quale interpretazione ognuno di noi dà all'azione di "mascherarsi". Si è detto che si indossano per spirito di sopravivenza; si indossano inconsciamente; che è naturale averle.
Ci sono maschere di Difesa e di Attacco e non sempre di valenza negativa.
Qualcuno dice anche che le indossiamo quando siamo soli con noi stessi, sfiorando addirittura la follia.
A seconda di chi ci sta intorno ci modifichiamo, condizioniamo il nostro comportamento, e quindi non siamo mai autentici, adeguandoci via via allo scopo.

Nessuno ha torto, nell'esprimere questi pareri, anzi credo che tutti abbiamo ragione proprio perché ognuno dà valenza o connotazione diversa alle maschere che indossa.

In Latino, il termine per indicare la maschera era "persona"; l'attore è per i latini colui che "per sona" attraverso una maschera, che emette il suono delle parole attraverso la maschera; questa, dunque, è essenzialmente un mezzo per comunicare.

Personalmente sono d'accordo con la maggioranza di tutte le opinioni espresse, pur mantenendo ferma la mia espressa nel precedente scritto.

Dissento solo quando il signor Lombardi dice che le maschere le indossiamo inconsciamente sempre e comunque, qualunque sia lo scopo. Mi sorge spontanea una domanda: ma se davvero le cose stessero cosi, io non sono mai cosciente di me stesso? Non ho allora mai nessun potere decisionale sulle mie scelte?

Non posso e non voglio crederlo perché solo un automa agisce e si comporta in modo incosciente solo perché ha una memoria precedentemente scritta nel suo inconscio.

Sarà anche vero che tutte le nostre scelte sono condizionate da questa memoria "virtuale", ma è anche vero che quando nella vita ci troviamo davanti a un bivio, scegliamo noi se andare a destra o a sinistra.

Se poi la scelta di andare in un senso piuttosto che in un altro è condizionata da quella "non coscienza", proprio perché non sono cosciente di quel condizionamento, non posso neppure prenderlo in considerazione.

L'inconscio è di sicuro una parte viva e attiva che riguarda qualunque spinta dell'essere umano, ma io come uomo pensante devo dare più valore alla mia coscienza, a quella che posso quasi toccare con un pensiero, con un ragionamento, con un'azione.

Forse il fatto di essere ateo mi aiuta ad essere più materialista in tutto quello che faccio e che penso; mi piace pensare e credere di essere io, e io solo, l'artefice del mio destino, che sia io a decidere se fare o non fare un'azione senza che questa mi arrivi dettata da un'entità oscura come l'inconscio.