L'androide

Silvia Casanova

  12-07-2005
 

Sei ciò che ho alimentato, credendoti l'unico alleato nella mia battaglia. E io, un androide che ti portava cibo. Mi sono coperta di te per saltare da un tetto all’altro, per evitare che gli altri vedessero la mia fatica a camminare.

Mi sentivo forte con la tua corazza. La mia disperata solitudine non mi bastava, non bastava al mondo per vedermi. La mia perfezione era il tuo alimento, mentre tramavo con te di fottere il mondo.

La tua immagine scialba mi rassicurava, la stretta di mano era il sigillo per il contratto: la mia spontaneità, le mie emozioni, in cambio della tua promessa che avresti fatto giustizia. Avevo scambiato la vendetta e il rancore per la dolcezza, per il riscatto. Ma avevo sete e, a qualunque prezzo, non avrei accettato mai più di sentire che ero un errore, inadeguata, piccola, un impiccio.

Avevo sete di essere nel mondo e, per riuscirci, potevo bene accettare di essere un’altra. Indossare una maschera, pelle su pelle, è anche inebriante: è colorata, calda, protettiva. Sotto puoi fare qualunque smorfia, che gli altri non la vedono. Questo ti fa sentire potente e, dopo un po’, sola.

Nessuno sapeva più chi fossi, cosa volessi, che voce avessi, ma soprattutto nessuno sapeva e mi chiedeva cosa stessi provando. Sommergevo di parole le mie domande e la fantasia di intervenire. Ero gentile, educata, persino simpatica. Confondevo gli altri aggiustando sulle loro attese il colore della mia maschera e mi sentivo Michelangelo. L’imbroglio mi dava la sensazione fredda della vendetta. “Sei stata brava anche oggi, puoi fare meglio però, ti senti sola? Ci sono io a impedire le lacrime.”

Caro fantasma, servo della mia fragilità, non ho bisogno di non piangere, ma di chi mi asciughi le lacrime; ho bisogno di riprendermi la mia rabbia, il mio dolore, la mia paura. Oggi mi tocca rompere il contratto. Un po’ mi dispiace. Affidarsi agli uomini è rischioso e tu sai quanta paura ho. Già mi manca di non poter parlare come prima con te e, in fondo, mi dispiace anche per te, che ora sei da solo con tutte le maschere che insieme abbiamo dipinto.

Adesso vado fuori, prendo un po’ di sole; se per te è troppo caldo, possiamo comprare un cappello, ma questa volta lascia che sia io a regalartelo.